il manifesto 27.9.16
La pace di Cartagena con le Farc
Colombia.
Firmato ieri lo storico accordo che mette la parola fine a 52 anni di
conflitto armato. Nella città caraibica 2.500 invitati, tra delegazioni
Onu, ministri di 40 paesi, ex guerriglieri e vittime della violenza, per
la celebrazione del patto tra il presidente Santos e il più longevo
gruppo armato dell’America Latina, con Cuba come mediatore
di Geraldina Colotti
Un’altra
Colombia è possibile? La domanda è risuonata con forza, ieri, a
Cartagena de Indias. Come abbiamo anticipato sul nostro sito, la città
caraibica ha ospitato una storica iniziativa, la firma degli accordi di
pace tra il governo di Manuel Santos e la guerriglia marxista delle
Forze armate rivoluzionarie colombiane (Farc). Una cerimonia breve (70
minuti, iniziata alle 17 ora locali), ma di portata internazionale:
2.500 gli invitati, tra i quali i leader o ministri degli Esteri di una
quarantina di paesi e una decina di rappresentanti di organismi
multilaterali, e poi parlamentari, magistrati, 400 vittime delle
violenze degli ultimi anni, 120 membri delle Farc, industriali,
sindacalisti, militari. Al centro, la delegazione cubana, guidata dal
presidente Raul Castro, che ha ospitato all’Avana i negoziati, durati
quasi quattro anni. Un risultato ottenuto grazie alla diplomazia di pace
inaugurata dallo scomparso presidente del Venezuela Hugo Chavez e
proseguita con l’attuale, Nicolas Maduro.
A firmare pubblicamente
l’accordo, il leader della guerriglia Rodrigo «Timochenko» Londono e il
presidente Manuel Santos: con un «baligrafo», ovvero con una pallottola
trasformata in stilografica (boligrafo), per rappresentare «la
transizione verso l’educazione e il futuro», ha precisato Santos.
Nel
documento, l’impegno per una soluzione politica al conflitto armato che
dura da 52 anni e che ha provocato almeno 220.000 morti, scomparsi, e
milioni di sfollati. L’accordo verrà sottoposto a referendum il 2
ottobre. Secondo gli ultimi sondaggi, dovrebbe essere approvato dal 72%
dei colombiani. Quelli residenti all’estero hanno già votato nei
relativi consolati. La firma di Cartagena ha ratificato anche il cessate
il fuoco definitivo e il calendario per la consegna delle armi alle
Nazioni Unite da parte delle Farc. Un percorso che durerà 180 giorni.
Le
Farc hanno concluso su questo la loro X Conferenza e approvato
all’unanimità gli accordi stabiliti all’Avana. Per l’occasione, nella
prospettiva di un passaggio politico, hanno votato l’ampliamento della
struttura direttiva, portandola da 31 a 61. Dalla X Conferenza, un
appello al confronto rivolto a tutte le organizzazioni e i partiti della
sinistra e la proposta di un’Assemblea costituente che coinvolga i
colombiani in un nuovo patto sociale. Se le cose vanno secondo il
calendario previsto, entro maggio 2017 le Farc effettueranno il loro
primo congresso da partito politico.
Domenica, con un atto
simbolico chiamato «Festa per la pace», governo e guerriglia hanno
consegnato il documento d’accordo alle vittime del Montes de Maria, uno
dei principali luoghi di concentrazione della guerriglia negli ultimi
decenni. Una zona di forte resistenza, iniziata negli anni ’60 con la
richiesta di una riforma agraria, sempre negata dallo Stato con
violenza. Il numero delle vittime del Montes de Maria in oltre
cinquant’anni di conflitto armato, è incalcolabile. Dopo la festa, a cui
hanno partecipato artisti, intellettuali e anche rappresentati
dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani, i
dirigenti delle Farc sono stati accompagnati in un luogo segreto dalla
squadra di sicurezza che è stata loro assegnata.
Nel secolo
scorso, ogni tentativo di soluzione politica è finito nel sangue. È
andata così negli anni ’80, quando le Farc avevano ottenuto un’ampia
rappresentanza parlamentare all’interno dell’Union Patriotica,
sterminata dall’azione congiunta delle forze statali e di quelle
paramilitari. Nei giorni scorsi Santos ha riconosciuto la responsabilità
dello Stato. Il peso dei paramilitari e di chi li sostiene, come l’ex
presidente Alvaro Uribe, è ancora molto forte e gran parte di loro sono
di nuovo liberi grazie agli accordi segreti conclusi negli anni scorsi, e
si sono riciclati nel grande business della sicurezza, nuovamente
finanziato dagli Usa con una riedizione mascherata del Plan Colombia.
Secondo le organizzazioni umanitarie, ogni cinque giorni viene ucciso un
difensore per i diritti umani in Colombia. Nei primi sei mesi del 2016
si sono registrate 314 aggressioni, 35 delle quali mortali: un
incremento del 3% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso.
Durante
la X Conferenza e nel discorso finale, le Farc sono tornate a chiedere
una riduzione delle spesi militari e la garanzia di un passaggio
politico in sicurezza. In una democrazia malata come quella colombiana,
gli spazi di agibilità politica si sono infatti chiusi con l’assassinio
del leader liberale Eliecer Gaitan, il 9 aprile del 1948. Anche in
questa nuova occasione storica, quindi, la strada è tutta in salita, in
quanto implica la rimozione delle cause che hanno provocato il conflitto
armato. Le Farc, i movimenti e la sinistra che appoggiano il processo
di pace non parlano di «post-conflitto», ma di un «post-accordo» che ha
come pre-condizione il rispetto dell’agenda stabilita all’Avana: una
riforma agraria integrale che prevede la creazione di un Banco de
Tierras per assegnare le terre ai contadini, alle donne capo-famiglia, e
alle vittime del conflitto. Previsti anche istituti di alto livello per
la giustizia di transizione e per la messa in atto di nuovi meccanismi
elettorali. Gli accordi dell’Avana stabiliscono la supervisione
dell’Onu, della Unasur e della Celac.
Intanto, la Ue ha annunciato che le Farc non saranno più incluse nella lista delle organizzazioni «terroriste».