Corriere 27.9.16
India, il profeta degli intoccabili lancia la sfida al potere di Modi
Chi è Mevani, l’avvocato 35enne passato dalla poesia all’attivismo
di Alessandra Muglia
AHMEDABAD
Il nuovo ambasciatore degli intoccabili è un giovane di 35 anni di
Ahmedabad, la principale città del Gujarat, lo Stato indiano dove è nato
e ha governato (per 13 anni) Narendra Modi prima di diventare premier.
Jeans e camicia a quadri, Jignesh Mevani si presenta in serata — dopo
vari rinvii — per una chiacchierata nell’House of MG, l’hotel dove
soggiornò anche il Mahatma Gandhi al suo ritorno dal Sudafrica. Al
teorico della non violenza, «preferisco Ambedkar, padre della
Costituzione indiana anti caste» dice sintetizzando la sua «agenda»
questo avvocato attivista con trascorsi da giornalista e ricercatore
universitario. Minuto, barba e occhiali, non ostenta il physique du rôle
del leader. Il suo inglese ha il tipico accento indiano di chi non ha
mai studiato all’estero. Ma un grande merito ai suoi genitori lo
riconosce: «Non hanno fatto pressioni per farmi sposare, non avrei
potuto fare l’attivista a tempo pieno».
Il primo grande risultato,
quello che lo ha fatto approdare sulla scena internazionale, lo ha
ottenuto ad agosto quando è riuscito a portare in piazza ad Ahmedabad
oltre 20 mila dalit, i fuoricasta, a far alzare la testa agli ultimi tra
gli ultimi cittadini della più popolosa democrazia del mondo.
Innanzitutto per dire basta ai linciaggi sempre più frequenti perpetrati
dai Gau Rakshaks, squadre di vigilantes che proteggono le vacche, sacre
per gli induisti, e si accaniscono contro gli addetti alla concia del
pellame di mucca, «per lo più dalit e musulmani», torturandoli, a volte
fino alla morte, con l’accusa di uccidere le vacche per mangiarsele.
Il
suo slogan — «tenetevi le code delle mucche e ridateci le nostre terre»
— è diventato il richiamo all’autoaffermazione dei dalit basata
sull’autosufficienza economica: «Chiediamo che vengano assegnate le
terre che ci spettano per legge» dice questo giovane passato dalla
letteratura all’attivismo. Dopo essersi diviso per tre anni a Mumbai tra
gli articoli e le ricerche sul poeta Mariz, l’incontro fulminante con
Mukul Sinha, avvocato dell’alta corte diventato famoso per aver difeso i
musulmani massacrati nel 2002 nel Gujarat.
La sua prossima sfida è
una grande mobilitazione che dovrebbe portare alla paralisi dei treni
il primo di ottobre, sempre ad Ahmedabad. «Per riuscire a bloccare i
binari dobbiamo essere almeno in 10 mila», stima. E se questa volta per
incendiare gli animi non potrà contare sull’aiuto di alcun video come
quello virale sui linciaggi diffuso in Rete prima della grande marcia di
agosto, meglio tenersi un piano di riserva: «Se saremo meno agiremo
all’interno dei convogli. Siamo pronti a farci picchiare, ma non useremo
la violenza», assicura. La speranza è quella di trasformarsi da gruppo
dalit a movimento trasversale sostenuto da gruppi di donne, lavoratori
informali (la stragrande maggioranza in India), gruppi tribali e
associazioni di contadini. Insieme «per smantellare questo sistema
feudale, la struttura delle caste». «Mi invitano o vengono da me perché
sono il personaggio del momento, ma non mi faccio illusioni: so che la
paura di esporsi è altissima, il timore di vendette, come la sospensione
dei sussidi, paralizza». Non è facile lavorare senza il supporto di una
struttura («sto lavorando per averla») e senza garanzie economiche («Mi
baso su contributi di donatori e amici, presto ricorrerò al
crowdfunding»).
Il grande salto sulla scena nazionale è previsto
per marzo con la mobilitazione indetta in Uttar Pradesh, Stato a grande
rappresentanza di intoccabili dove si vota il prossimo anno. E chi vince
qui di solito si aggiudica anche le elezioni nazionali. Se la sua
chiamata alle armi di fuoricasta e musulmani insieme funziona, la corsa
in questo Stato chiave diventa interessante.
«Modi nel suo primo
comizio in Gujarat si è proposto come un leader pro dalit, per la prima
volta gli facciamo paura in uno Stato dove siamo solo l’8% della
popolazione». Lui al comizio non ha potuto andare: è stato arrestato il
giorno prima nel timore che potesse portare avanti azioni di disturbo,
dopo che in un suo post su Facebook, con piglio visionario,
riecheggiando Martin Luther King, scriveva «I have a dream». Il suo
sogno: che «le vittime del modello Gujarat facciano volare le sedie in
aria durante il comizio di Modi».