il manifesto 27.9.16
Trump promette tutta Gerusalemme a Israele
Medio
Oriente. Il premier israeliano Netanyahu dorme sonni tranquilli: anche
la democratica Clinton è pronta a garantire il massimo del sostegno allo
Stato ebraico
di Michele Giorgio
In attesa della
sfida dell’anno, i due candidati alla presidenza degli Stati Uniti due
giorni fa, incontrando il premier israeliano Netanyahu, hanno offerto un
assaggio dei loro programmi “innovativi” per il Medio Oriente e per il
conflitto israelo-palestinese. L’appoggio americano a Israele, più
deciso e meno polemico di quello garantito per otto anni
dall’Amministrazione Obama, è un caposaldo dei programmi sia della
democratica Hillary Clinton che del repubblicano Donald Trump. Entrambi
si sono guardati bene dall’affermare il diritto dei palestinesi ad
essere liberi dall’occupazione israeliana ed indipendenti in un loro
Stato. L’ex Segretario di stato durante il colloquio con Netanyahu ha
ribadito posizioni già note della politica statunitense nei confronti di
Israele. Ha proclamato che la sicurezza degli Usa passa per la
sicurezza di Israele e ricordato l’accordo (38 miliardi di dollari)
raggiunto all’inizio di settembre per nuovi ed ingenti aiuti militari a
Tel Aviv. «Un Israele forte e sicuro è vitale per gli Stati Uniti» ha
commentato Clinton dicendosi pronta a contrastare il boicottaggio di
Israele. Da parte sua Trump, tenendo fede al suo personaggio, ha capito
che doveva stupire Netanyahu con qualcosa di più allettante, così da
mettere in difficoltà anche le organizzazioni americane filo-israeliane
negli Stati Uniti, schierate in prevalenza con la più “affidabile”
Clinton, ed indurle a cambiare indicazione di voto. Per molte di queste
organizzazioni l’orientamento del primo ministro israeliano è
fondamentale.
Trump vuole l’appoggio di Israele e i voti degli
ebrei americani e in cambio ha promesso a Netanyahu che la sua
Amministrazione riconoscerà Gerusalemme come «capitale indivisibile
dello Stato d’Israele». Gerusalemme «è stata la capitale eterna del
popolo ebraico per oltre 3000 anni», ha spiegato, offrendo un quadro
della storia del Medio Oriente perfettamente aderente a quello che fa
Israele. Trump ha anche assicurato che una volta eletto «fra Israele e
Usa sarà avviata una straordinaria cooperazione strategica, tecnologica,
militare e di intelligence…Israele – ha aggiunto – è un partner di
importanza vitale per gli Stati Uniti nella lotta contro il terrorismo
dell’Islam radicale». Siamo in campagna elettorale e tutte le promesse
vanno prese con le molle. Tuttavia il tycoon americano, che nei mesi
scorsi aveva messo in allarme il governo Netanyahu dichiarando di avere
una posizione “neutrale” su Israele e Palestina, se eletto alla Casa
Bianca potrebbe innescare una spirale di gravi tensioni politiche e
diplomatiche pur di assicurare pieno appoggio alle posizioni israeliane.
Israele,
con il suo esercito, ha preso il controllo di tutta Gerusalemme nel
1967 e proclamato unilateralmente la città come sua capitale mentre i
palestinesi vogliono fare di Gerusalemme Est, la zona araba, la capitale
dello Stato cui aspirano. La comunità internazionale ha respinto l’atto
di forza di Israele e, in via ufficiale, afferma pieno sostegno alle
risoluzioni dell’Onu. Gli Stati Uniti però da una ventina di anni
promettono di riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele. George
W. Bush nel 2000 giurò di farlo appena entrato in carica e ora lo dice
anche Trump, a spese dei diritti dei palestinesi e in violazione del
diritto internazionale. Non solo. Il candidato repubblicano potrebbe
aver fatto promesse a Netanyahu anche su altri dossier, come l’accordo
sul programma nucleare iraniano sostenuto da Barack Obama ma contestato
con forza da Israele.
I palestinesi sono usati come moneta di
scambio e Netanyahu dorme sonni tranquilli. Chiunque vinca le
presidenziali americane andrà bene per Israele. «Dopo aver incontrato i
due maggiori candidati sono più convinto che mai che il legame fra
Israele e gli Usa resterà forte dopo le elezioni», ha commentato il
primo ministro. Il segretario generale dell’Olp, Saeb Erekat, non è
andato oltre una scontata denuncia delle intenzioni di Trump.