venerdì 23 settembre 2016

Il Sole 23.9.16
Rapporto 2015. La crescita dei flussi
Investimenti cinesi all’estero a quota 145,6 miliardi $
di Rita Fatiguso

PECHINO Con i suoi 5,29 miliardi di dollari pagati da ChemChina per l’acquisizione del 60% del capitale, Pirelli è la regina delle operazioni di M&A cinesi di aziende straniere nel 2015, ben 579 in 62 Paesi/Regioni.
Lo dice a chiare lettere il Report sugli investimenti cinesi nel mondo presentato ieri allo State Council, il primo nel suo genere perché realizzato per la prima volta a tre mani da ministero del Commercio, Dipartimento nazionale di statistica e Safe, l’agenzia della Banca centrale che monitora i movimenti in valuta estera.
Nel 2015, giusto per intenderci, il totale degli investimenti all’estero ha toccato il record di 145,67 miliardi ben oltre lo 0,4% del 2002 al 9,9% del 2015 in termini di investimenti totali.
Primo investitore all’estero, grazie al fatto che gli investimenti in Cina sono andati sotto quelli realizzati dalla Cina all’estero, la Terra di Mezzo è il primo esportatore netto di capitali.
La Safe ovviamente è impegnata a monitorare questi flussi cercando di bloccare quelli sospetti, ma il fiume di denaro è talmente ampio che forse l’Agenzia, da sola, può fare poco. I business asset cinesi nel mondo superano i 4 trilioni di dollari e tanto basta.
Ma il vero boom, analizzando l’aspetto qualitativo, è rappresentato dagli investimenti finanziari, il cui ammontare è cresciuto sensibilmente rispetto a quelli “industriali”: per la prima volta gli investimenti in equity hanno registrato un balzo del 60%, mentre la quota degli strumenti di debito è al minimo storico. Tra equity e reinvested earnings si arriva a 37,91 miliardi pari al 26% del totale, mentre inclusi gli investimenti in equity si sale a 134,62 miliardi di dollari pari al 92.4% del flusso totale di investimenti esteri. Gli investimenti domestici non riservano grandi ritorni, per questo chi vuol ottimizzare si ritrova a imboccare, volente o nolente, la via dell’estero. Real estate, borsa, si sono rivelati al di sotto delle aspettative, meglio – per chi può – investire all'estero.
Gli investimenti all'estero nei servizi finanziari hanno totalizzato 24,25 miliardi di dollari pari al 16,6% del flusso totale e con un aumento anno su anno del 52,3. Il 2015 ha rappresento un anno d'oro per le istituzioni finanziarie cinesi all'estero, ben 23,7 miliardi di dollari son stati spediti a imprese finanziarie all’estero, appena 0,73 a istituzioni non finanziarie. Non è un gioco di parole, ma 0,55 miliardi sono transitati da istituzioni finanziarie all’estero a istituzioni non finanziarie in Cina.
In definitiva i flussi finanziari hanno trovato un circuito praticabile nel rapporto estero/Cina e viceversa. Anche le banche cinesi all'estero hanno svolto la loro parte, nel sostenere l'internazionalizzazione delle imprese cinesi all'estero che, a giudicare dal report, hanno anche versato all'estero 31,19 miliardi di tasse con un aumento del 62,9% anno su anno, dando lavoro a un milione e 225mila locali, 392mila in più dell'anno precedente. La variabile fiscale conta, e molto, se si pensa che c'è stato un sensibile spostamento in Europa dal Lussemburgo all'Olanda di aziende cinesi, dovuto proprio al miglior trattamento fiscale di Amsterdam.
E che ancora oggi Hong Kong, Macao e i paradisi fiscali di mezzo mondo attirano capitali cinesi a go go, specie di soggetti privati che vogliono mettere al riparo le loro ricchezze. Un elemento che accomuna Pechino ai Paesi di mezzo mondo, quasi un segno di riconoscimento dello status di Paese “benestante”.