La Stampa 23.9.16
Stones a Cuba
Arriva il film che celebra il mito rock
di Marinella Venegoni
Arriva
oggi in tutti i cinema del mondo, per un solo giorno, The Rolling
Stones in Cuba, il film-concerto girato la sera del 25 marzo scorso
all’Avana, nell’immenso spazio della Ciudad Deportiva, che chiudeva il
tour sudamericano delle nozze d’oro della band con il rock: quella band
che doveva evaporare per prima visti gli stili di vita esibiti, è ancora
qui a difendere con i denti (rimasti) il proprio primato.
Del
concerto si è parlato moltissimo: erano i giorni che era appena andato
via dall’Avana Obama, dopo la storica visita a Raoul Castro; e i quattro
portando a Cuba quel rock che mai Fidel aveva voluto, giuggiolavano sul
Presidente come loro supporter.
In fondo sono ragazzi, anche se
oltre i 70, e la loro durata è dovuta anche al prepotente narcisismo che
erompe dal filmato: messi in condizione di lasciare ai posteri un
documento unico, con 250 mila (o 500 mila, o un milione come esagerano
loro, tanto non lo sapremo mai) cubani di tutte le età alle prese con un
divertimento inconsueto, nella cornice di una città meravigliosa e
pittoresca, hanno evitato la strada del racconto corale, di folla, facce
e danze di popolo.
E hanno autocelebrato se stessi: la scaletta
canonica di Start me Up e Honky Tonk Woman, i gesti d’amore fra Keith
eccitatissimo e Ron Wood dallo sguardo spaesato, Charlie Watts che non
sai mai se finisce le due ore, Mick che sembrava aver inghiottito una
torta al peperoncino, l’infinito cambio di camicie preziosissime,
lasciando all’impagabile scenario il ruolo di cornice.
Concerto
gratuito, è appena il caso di ricordarlo. Gli Stones hanno regalato
all’Avana tutti i loro strumenti e le apparecchiature, per il popolo. Lo
strillo urla: «Il concerto che ha cambiato la storia del rock». Ma non
ha cambiato i Rolling Stones, che moriranno narcisi.