giovedì 22 settembre 2016

Il Sole 22.9.16
I tormenti della sinistra Pd su Italicum e referendum: né con Renzi né con D’Alema
di Lina Palmerini

La sensazione che si aveva ieri vedendo la minoranza Pd aggrovigliarsi in un altro “ni” è che il loro principale dilemma non sia solo l’Italicum o il referendum ma come tradurre in politica il «né con Renzi né con D’Alema».
Non hanno votato contro ma non hanno partecipato alle votazioni. La minoranza Pd ha risposto con un nuovo “ni” alla mozione con cui si impegnano le Camere a modificare l’Italicum. Potevano sbandierarla come una loro vittoria, almeno parziale, avendo costretto Renzi ad aprire ai cambiamenti e invece hanno preferito restare nel limbo. È vero, nella mozione che è passata ieri a Montecitorio manca un punto per loro dirimente – tornare a regole che confermino la forma di governo parlamentare - ma è un concetto che ormai viene oscurato dalla tattica estenuante del “dipende”. Sta assumendo forme talmente macchiettistiche rinviare il momento del “sì” e del “no” che è diventato un pezzo forte delle parodie di Crozza su Pierluigi Bersani.
Perché è questo il nocciolo della questione: sottrarsi al voto di ieri alla Camera significa prendere ancora tempo sulla scelta definitiva riguardo al referendum. Che a questo punto non riguarda solo la riforma costituzionale ma si è trasformata in una scelta di campo tra i due leader del “sì” e del “no” che si combattono nel Pd. Da una parte c’è Renzi e dall’altra D’Alema. Ecco, la minoranza sembra finita in quell’angolo che si chiama “né con Renzi né con D’Alema”. E ora non è per niente facile ritagliarsi uno spazio politico che traduca questa terza via. Quello che comunicano più che un posizionamento è un disagio, un imbarazzo.
Il fatto è che l’ex ministro degli Esteri è stato più veloce a schierarsi sul referendum, si è lasciato indietro i bersaniani e ora un loro “no” tardivo e sofferto li riporterebbe dentro la sua sfera di influenza politica. Ha occupato quel posto prima e con tutta una serie di considerazioni su cui la sinistra Pd arriverebbe tardi. Mentre loro si perdono nelle tattiche parlamentari uscendo dall’Aula e non votando, D’Alema ha già detto tutto contro l’Italicum, contro Renzi e contro la riforma Boschi. Lui si è esposto in modo chiaro mentre la minoranza prendeva tempo. A questo punto è difficile dire cosa sia meglio per loro: se farsi dare una mano dal mondo renziano e dimostrare che il negoziato ha dato qualche frutto, o convergere sull’ex premier accettando la sua leadership nella battaglia contro il premier. Il che vuol dire che potrebbe essere D’Alema a dare le carte nella futura sfida congressuale.
Nella minoranza, anche ieri, si discuteva di queste due opzioni senza arrivare a una completa unità, come ha dimostrato anche il voto sulla mozione dove vi sono stati dei dissidenti. Perché uno degli effetti collaterali del dire “ni” è che si rischia di perdere man mano i pezzi. E infatti la scelta di ieri è il frutto anche della difficoltà di mantenere unita un’area. Lo ammette Andrea Giorgis, deputato e professore di diritto costituzionale, che ha le sue fondate obiezioni sull’Italicum e su come distorce la forma di governo parlamentare attribuendo al voto popolare la scelta sull’Esecutivo, ma non dispera ancora sul risultato del negoziato con Renzi. Lui dice che la scelta di ieri non è ostile e corrisponde al tentativo di tenere – tutti insieme - aperto un dialogo ma all’esterno tutti scommettono che cadranno tra le braccia di D’Alema. Che ovviamente sono aperte.