il manifesto 22.9.16
Italicum, fiction finita. E il Pd litiga anche sui numeri
Montecitorio.
Passa la mozione farsa Dem-Ap-Ala, i 5 stelle votano con la sinistra.
La legge si cambia, dopo il referendum. La minoranza si smarca. Bersani:
«Non dice nulla, ma le volpi finiscono in pellicceria»
di Daniela Preziosi
ROMA
Ieri pomeriggio alla Camera la maggioranza ha votato una mozione (293
sì, 157 no e 13 astenuti) che suona come la parodia del linguaggio
politichese, un perfetto stile Prima Repubblica. Dice in realtà l’esatto
contrario di quello che è scritto: «La Camera si impegna ad avviare
nelle sedi competenti una discussione sulla legge 6 maggio 2015 numero
52 al fine di consentire ai diversi gruppi parlamentari di esplicitare
le proprie eventuali proposte di modifica della legge elettorale
attualmente vigente e valutare la possibile convergenza sulle suddette
proposte». Eventuale, valutare, possibile. Tradotto: la Camera non si
impegna a un bel nulla, l’Italicum sarà cambiato, per forza, ma dopo il
referendum e da chi lo vincerà. Se ne riparla nel 2017. La minoranza Pd
protesta e non vota. Ma anche sul computo dei dissenzienti finisce in
rissa.
All’uscita di un dibattito parlamentare in cui ogni forza
politica recita senza convinzione la sua parte, il capogruppo del Pd
Ettore Rosato risponde vago ai cronisti che prendono sul serio la
mozione: «Sì, vogliamo dialogare anche con le opposizioni», «Certo, si
aprirà sarà un tavolo, poi». In aula democratici (non le minoranze),
alfaniani, centristi misti e verdiniani (ma non Giuseppe De Mita, che si
astiene) votano il testo del nulla. «L’Italicum non ha più padri, avete
scoperto che non vi conviene più ma non ci dite dove, come e quando la
cambierete», attacca Arturo Scotto, capogruppo di Sinistra Italiana e
autore della mozione da cui nasce tutto il can can, «con la vostra
mozione avete scritto ’ciaone’ a un confronto serio in parlamento. A
questo punto non restano che le urne referendarie». La mozione della
sinistra, che chiede di cancellare «i palesi vizi di costituzionalità
dell’Italicum» non passa ma prende ben 109 sì (287 no): raccoglie
infatti i voti dei 5 stelle, che pur dichiarando «inemendabile» la legge
elettorale non se la sentono di non votare un testo che in teoria
dovrebbero condividere dalla A alla Z. Loro presentano un testo che
rilancia il cosiddetto «democratellum», e se lo votano da soli (la
sinistra si astiene). Ma Rosato si cava il gusto di ricordare «il 3
dicembre 2015, quando il collega Di Battista legittimamente proponeva un
ordine del giorno che impegnava l’aula a non modificare l’Italicum.
Dopodiché, sarà arrivata una telefonata da Genova o Milano, non lo so, e
hanno cambiato idea». E a un Brunetta che intima a Renzi di dimettersi
se vuole cambiare una legge sulla quale ha imposto ben tre voti di
fiducia, Rosato ricorda che anche Forza Italia ha votato l’Italicum.
Quasi fino alla fine. Il centrodestra fa una figuraccia: la mozione
Fi-Lega-Fdi prende 43 voti.
Ma alla fine è il Pd ad uscire con le
ossa rotte. Prima del voto la riunione dei deputati finisce male. Per la
minoranza bersaniana il testo concordato con gli alfaniani e i
verdiniani è una presa in giro. «Le volpi finiscono in pellicceria»,
sbotta Bersani citando Craxi. «Non c’è nulla. Io ho chiesto che il
governo prendesse un’iniziativa comparabile con quella che prese con
l’Italicum, quando arrivò fino al punto di mettere la fiducia, quando
arrivò fino al punto di togliere dalla commissione chi non era
d’accordo». Meno drastico il giudizio di Gianni Cuperlo che apprezza
«l’atto di apertura», ma il testo «è timido e reticente». Cuperlo
annuncia un’iniziativa per il prossimi giorni, forse la richiesta di una
direzione a tema. Difficile capire perché Renzi dovrebbe dire sì: è lo
stesso segretario a non avere idea in che direzione modificare la legge
elettorale. Fin qui è sicuro di non voler eliminare il ballottaggio. Ma
il referendum potrebbe incaricarsi di fargli cambiare idea. Quanto alla
mozione, per i renziani «la sinistra non avrebbe comunque votato la
mozione altrimenti avrebbe dovuto votare sì al referendum». I bersaniani
hanno già annunciato il no. Non Cuperlo. Alla fine le minoranze Pd non
parteciperanno al voto. Secondo i tabulati sono 42, fra presenti e
assenti, quelli che non pigiano il bottone.
Ma anche il Pd si
divide anche sui numeri. Chiusa la votazione, Rosato annuncia ai
cronisti che dei 42 deputati non votanti «solo 24 non hanno partecipato
al voto per scelta politica». Dalla minoranza arriva una smentita
irritata: «Dà i numeri. Siamo 33 o 34. È un segnale politico, nessuno
pensava di mettere in difficoltà la maggioranza».
Infatti la
maggioranza sta serena e invita le forze politiche a presentare le loro
proposte. M5S l’ha fatto ieri in aula con il suo quasi-proporzionale.
Forza Italia ha le idee confuse. Quanto alla minoranza Pd, ieri stesso
21 senatori guidati dai bersaniani Fornaro e Gotor hanno firmato e
depositato la proposta del Mattarellum 2.0. E la sinistra già
vendoliana, da anni ferma sul Mattarellum, negli ultimi tempi ha
rilanciato il proporzionale. Ma per discuterne c’è tempo ce, almeno fino
a dicembre.