martedì 20 settembre 2016

Il Sole 20.9.16
La debolezza della cancelliera un rischio per l’Europa
di Alessandro Merli

Non basta più all’elettorato tedesco che il cancelliere Angela Merkel faccia il mea culpa sulla questione dei rifugiati, assumendosi, come ha fatto ieri, la sua parte di responsabilità, dopo che con le sue aperture dello scorso anno ai rifugiati ha favorito l’afflusso in Germania di oltre un milione di persone. E non può bastare che un leader politico come lei, dalla quale i tedeschi si sono abituati a ricevere rassicurazione e soluzioni, dica che, se potesse «riportare indietro il tempo», vorrebbe che il Paese si presentasse più preparato a una situazione come quella dell’estate scorsa. E suona un po’ sconcertante che il capo del Governo da undici anni risponda ai risultati di un sondaggio, secondo cui l’82% degli interpellati vorrebbe che cambiasse la sua politica sui migranti, con la curiosa affermazione che «se sapessi che cambiamento vuole la gente, lo prenderei in considerazione».
Presa in mezzo sulla questione rifugiati fra i muri invocati dal partito anti-immigrati AfD e la richiesta di un tetto ai nuovi arrivi da parte dei suoi alleati cristiano-sociali bavaresi, Angela Merkel ha cancellato dal suo lessico «Wir schaffen das», “Ce la possiamo fare”, con cui aveva aperto le frontiere lo scorso anno. Ripete che la Germania non può bloccare l’accoglienza ai rifugiati, o ai musulmani, in base alla costituzione, al diritto internazionale, alle fondamenta politiche della Cdu e, infine, alle sue convinzioni personali, ma uno slogan alternativo rispetto a quello dello scorso anno non ce l’ha. E stavolta non si tratta di una lunga ponderazione, come è nel suo stile e nel suo modus operandi, dei pro e dei contro delle diverse soluzioni, ma apparentemente dell’assenza di un’idea forte da contrapporre alle risposte semplici, ma di sicura presa sull’opinione pubblica, di oppositori e alleati a un problema complesso.
Politicamente, per Angela Merkel è quasi impossibile fare marcia indietro, ma è estremamente difficile offrire qualche risposta concreta (e una ricomposizione nel suo stesso partito) senza una modifica sostanziale della sua posizione di allora, anche pubblica, visto che nei fatti alcune misure sono già state rettificate. Raramente, il cancelliere è apparsa così a corto di argomenti e soprattutto di soluzioni pratiche, la sua specialità. Il tempo a disposizione per una risposta convincente non è molto, mancano meno di due mesi e mezzo al congresso del partito che dovrà decidere la sua ricandidatura.
Il calendario elettorale tedesco va poi a intrecciarsi con una situazione in Europa, che, post-Brexit, si è a sua volta tremendamente complicata. E davanti alla quale il cancelliere si presenta indebolita sul fronte interno dagli ultimi rovesci nei voti regionali e su quello europeo, dove gli ex alleati dell’Est sono oggi i suoi critici più accaniti e dove la fronda del Club Med, dove non è stata mai amata, si è inasprita. Non è certo la ricostituzione di facciata di un asse con un infiacchito François Hollande che può toglierla d’impaccio. Le due debolezze, quella interna e quella europea, rischiano di alimentarsi a vicenda. L’Europa però è di fronte a scelte esistenziali e non può permettersi una paralisi che duri da qui alle elezioni politiche in Germania nell’autunno dell’anno prossimo.