martedì 20 settembre 2016

Il Sole 20.9.16
Rifugiati
Accordi al ribasso
Non basta più rinviare le soluzioni al prossimo summit
di Vittorio Da Rold

Tra il 2005 e il 2015, la popolazione dei rifugiati è cresciuta da 37 a 65,3 milioni a causa delle crescenti violenze in Medio Oriente e nel Nord Africa. Un caos scaturito prima dalle aspettative di maggiore democrazia nate dalle Primavere arabe, speranze di una evoluzione liberale del mondo arabo poi andate deluse e che si sono scontrate con un rinnovato dissidio tra sunniti e sciiti. L’Europa, in particolare, è diventata una delle principali destinazioni per i migranti internazionali: l’agenzia europea Frontex, quella che controlla i confini dell’Unione, ha registrato più di 1,8 milioni di attraversamenti illegali solo nel 2015.
Di fronte a questi fenomeni epocali ha deluso il primo summit dell’Onu su rifugiati e migranti che ieri ha inaugurato la 71esima sessione dell’Assemblea Generale al Palazzo di Vetro di New York. Summit che si è concluso con un documento minimalista in cui si danno altri due anni di tempo in più alla comunità internazionale per trovare «un accordo globale» su come affrontare il fenomeno globale dei profughi. E dal quale è scomparso durante i negoziati del mese scorso l’impegno dei Paesi più ricchi ad accogliere il 10% dei rifugiati globali.
Oggi, ai tempi supplementari, è la volta di un summit parallelo, sempre all’Onu, e che vede il presidente americano Barack Obama come principale promotore di un maggior impegno sul tema dei migranti.
«Noi stiamo usando le nuove iniziative che assumeremo per spingere gli altri Paesi a fare la loro parte, considerato il piccolo numero di Paesi che stanno sostenendo un peso sproporzionato per l’accoglienza e l’aiuto ai profughi» ha dichiarato Samantha Power, ambasciatore Usa all’Onu.
Gli Stati Uniti si presenteranno all’appuntamento di oggi con l’annuncio dell’aumento del numero di rifugiati che l’amministrazione uscente di Barack Obama vuole varare per il 2017. «Negli ultimi tre anni abbiamo accolto 70mila rifugiati all’anno, quest’anno saranno 85mila, dei quali i siriani saranno 13mila entro la fine dell’anno. E nei giorni scorsi abbiamo comunicato al Congresso che per il prossimo anno vogliamo che siano 110mila», ha spiegato il sottosegretario Richard.
Ma al di là di quell’”accordo dei volenterosi” (una quarantina di paesi in tutto) resta il giudizio di un accordo generale sul tema intonato al ribasso. Il premier britannico, Theresa May, al suo primo intervento all’Onu nelle vesti di primo ministro del dopo referendum ha tracciato la via ideologica dei “falchi” sostenendo una soluzione in tre fasi: la prima proposta è aiutare i rifugiati a chiedere asilo nel primo paese in cui approdano – come l’Italia o la Grecia - e impedire loro di proseguire fino a quando hanno il permesso di farlo; la seconda è predisporre criteri a livello internazionale per distinguere tra un vero rifugiato e un immigrato per ragioni economiche, aiutando i primi e respingendo i secondi; la terza è di stabilire il diritto di ogni Paese a controllare i propri confini e bloccare gli immigrati «indesiderati». Una politica sul tema dei migranti, quella espressa dalla May, contraria evidentemente agli interessi patrocinati dall’Italia, e che delinea una sorta di principio di Dublino a livello globale. Altro che un suo superamento! Una sfida che, se raccolta da Donald Trump, potrebbe far nascere un nuovo asse tra la May e il candidato repubblicano in tema di migranti sull’onda di quanto avvenne tra Margareth Thatcher e Ronald Reagan negli anni 80.
I 27 paesi dell’Unione europea comunque sono spaccati al loro interno, come dimostra il risultato dell’ultimo vertice informale di Bratislava, con i quattro paesi di Visegrad contrari alle quote obbligatorie di profughi. Anche gli Stati Uniti sul tema dei migranti si dimostrano divisi esattamente a metà: nella campagna elettorale per le presidenziali i due candidati si dividono tra chi chiede più politiche di accoglienza ed inserimento e chi vuole costruire nuovi muri al confine del Messico.
Il rischio geopolitico è che la crisi dei migranti prenda il posto della crisi dei debiti sovrani nell’agenda globale e che venga affrontata con la stessa incapacità dimostrata per la prima. Cioè che venga gestita con cinismo e senza lungimiranza.
Sarebbe un autogol puntare su accordi sul minimo denominatore che lascino ciascun paese solo di fronte alle pressioni migratorie che, per loro natura, richiedono soluzioni globali. Cercare di salvare il proprio appartamento, durante un incendio del condominio, potrebbe rivelarsi una trappola fatale.