Il Sole 20.9.16
Isis e populismo
di Ugo Tramballi
C’è
una concentrazione di dignitari in giacca e cravatta o abito tribale,
che si sta radunando in queste ore al Palazzo di Vetro delle Nazioni
Unite. E c’è un altro raduno a New York e altrove attorno all’America.
Di
tutti coloro che vogliono approfittare della crisi di credibilità degli
Stati Uniti, possibilmente allargandola. È un’adunata eterogenea, con
trame diverse ma alla fine un obiettivo comune.
A modo suo anche
l’Isis forse voleva partecipare all’assemblea generale dell’Onu. Ma
l’imminenza di una delle più strane campagne presidenziali americane,
combattute da candidati così mediocri, è un’opportunità senza precedenti
per tutti. Gli ordigni esplosi e quelli ritrovati sono soprattutto
bombe elettorali: quale ne sia la matrice e indipendentemente dalla
volontà degli attentatori.
Come tutte le superpotenze che
incominciano a dare segni di ripensamento o di stanchezza, l’America ha
molti nemici. C’è l’estremismo islamico organizzato e la sottomarca dei
lupi solitari che potrebbero essere i mandanti e gli esecutori di questi
attentati; ci sono gli hackers di tutto il mondo concentrati a svelare i
lati oscuri del sistema americano, curiosamente ignorando quelli degli
altri. E poi gli stati nemici e anche quelli alleati: l’Iran
khomeinista, la Turchia di Erdogan offeso dall’assenza di solidarietà
nelle ore del golpe e dal sostegno ai curdi; l'Arabia Saudita e Israele
per i quali l’accordo sul nucleare iraniano fortemente voluto dagli Usa,
è una minaccia esistenziale; la Russia di Putin impegnata in un
confronto di potere globale vecchio stile, da XIX secolo.
Se foste
il leader di uno di questi paesi o lo stratega dell’Isis, non vi
augurereste la vittoria di Donald Trump? Nel caso di Putin, dopo
l’elogio pubblico di Trump, che ai tempi della Guerra fredda sarebbe
stato alto tradimento, c’è quasi un interesse privato in atto pubblico: a
volte sembra che il ticket repubblicano sia Trump-Putin. Per tutti –
terroristi, nemici e alleati ostili - Hillary Clinton è un candidato
mediocre, sconfitto dal neofita Obama, minacciato dall’improbabile Benny
Sanders e ora scavalcato dall’improponibile Donald Trump in alcuni
stati chiave. Ma eletta, potrebbe essere un buon presidente nel solco
della tradizione della potenza americana: internazionalista, rispettosa
delle alleanze e assertiva riguardo la supremazia globale che a
Washington giustificano con la definizione di “nazione indispensabile”.
La
presidenza Trump sarebbe un salto nel buio che approfondirebbe la crisi
di credibilità degli Stati Uniti e aprirebbe un vuoto di potere
globale, appetito da molti. Se le bombe di ieri sono di matrice islamica
e se chi le ha ideate pensava ad altro, il complotto ha fatalmente un
risultato elettorale. In un’altra epoca, la reazione pacata di Hillary
Clinton, in attesa di avere più chiarezza sui fatti, avrebbe raccolto
consenso. Invece oggi pagano le parole di Donald Trump che prima di
conoscere i responsabili, aveva innescato paura e promesso durezza. Come
Putin, Erdogan, Netanyahu, Marine Le Pen e tutti i duri del panorama
politico globale di fronte a problemi irrisolvibili nello spazio di una
campagna elettorale: populisti di tutto il mondo, unitevi.