martedì 20 settembre 2016

E la verità su Giulio Regeni, dunque, certamente non la sapremo mai...
Il Sole 20.9.16
Rapporto Ernst &Young
Gli Stati Uniti mantengono la leadership per numero di progetti: 96 per 6,9 miliardi di dollari
Africa, l’Italia accelera gli investimenti
di  Laura Cavestri

Grazie soprattutto al progetto Eni in Egitto, il nostro Paese è primo in classifica per valore
Chi vince la medaglia d’oro degli investimenti esteri in Africa?
Se si guarda il numero dei progetti, di nuovo gli Usa (che però sono passati dai 100 del 2014 ai 96 dell’anno scorso). Ma se la “lente” è quella del valore, cioè del capitale investito, il gradino più alto del podio è, per la prima volta, tutto italiano. L’anno scorso, infatti, l’Italia ha investito 7,4 miliardi di dollari, più dei 6,9 miliardi degli Usa, aggiudicandosi la quota più alta degli investimenti 2015 nel continente, 10,4%. Davanti al 9,7% di Washington.
Il dato va certamente interpretato, ma la fotografia dell’appeal degli investimenti esteri diretti al continente africano l’ha scattata Ernst&Young – con l’ultimo rapporto, Staying the Course –, ovvero mantenere la rotta in un’area dove restano sì forti le differenze in termini di stabilità istituzionale, tenuta del tessuto sociale, ma, laddove queste esistono, si aprono anche mercati in cui il know how, la tecnologia e i beni strumentali italiani spesso non hanno rivali.
Il numero dei progetti di investimento all’estero è calato, nel mondo, del 5% in appena un anno, nel 2015 rispetto al 2014. Ma in Africa, nello stesso,periodo, il trend è stato opposto: +7%, pari a 71,3 miliardi di dollari investiti (tra 2010 e 2014 si era mantenuta una media annua di 68 miliardi di dollari). Le attività si concentrano nell’Africa meridionale (27,6%, anche se a -11% sul 2014, l’area dall’Angola a scendere verso il Sud Africa) mentre cresce l’interesse per l’area orientale (26,2%, pari a +26% dal 2014 soprattutto Kenya, Tanzania e Mozambico). L’instabilità penalizza irrimediabilmente l’Africa centrale (appena il 2,3% di progetti, in calo del -10% in un solo anno, tra Congo, Repubblica Centrafricana, Uganda e Sudan).
Con 96 progetti di investimento (nel 2014 erano stati, appunto, 100) gli Usa guidano ancora la classifica delle iniziative, per 6,9 miliardi e, solo l’anno scorso, hanno creato oltre 15mila nuovi posti di lavoro. Sempre per numero di progetto, seguono Gran Bretagna e Francia, rispettivamente 77 (pari a 4,9 miliardi di dollari)e 58 (pari a 5,8 miliardi). Poi, a seguire, i Paesi in via di sviluppo: gli Emirati Arabi, con 50 progetti (erano 37 nel 2014) e 4,3 miliardi di dollari investiti, prima di India (passata da 28 a 45 iniziative del valore di 1 miliardo), Kenya (da 15 a 36 progetti da 1 miliardo totale e +140% di crescita), Sud Africa e Cina. Complice il rallentamento della sua economia, la Cina è rimasta ferma a 36 nuovi progetti in Africa (come nel 2014), pari a 2,3 miliardi e che danno tuttavia lavoro a 14.100 addetti.
E l’Italia? Il numero degli Ide verso i Paesi dell’Africa è raddoppiato nel 2015 rispetto all’anno precedente, passando da 8 a 16 nuovi progetti per 7,4 miliardi di dollari. L’anno scorso, per volume degli investimenti abbiamo superato Paesi ben più radicati, creando 3800 posti di lavoro.
Va detto che il netto aumento in volume degli Ide italiani è in larga parte legato a un singolo progetto del gruppo Eni per lo sviluppo del gas naturale nel giacimento di Zohr in Egitto (6 miliardi).
Destinazione preferita dei progetti italiani è stata nel 2015 soprattutto il Sudafrica, in particolare nei settori delle energie rinnovabili e dei prodotti di consumo e vendita al dettaglio. Seguono quali principali destinazioni dei progetti italiani il Marocco e l’Egitto.
«L’impegno delnostro Paese – ha sottolineato Donato Iacovone, Ad di Ernst & Young per Italia e Sud Europa – resta ancora molto legato alla filiera dell'estrazione, delle materie prime, gas e idrocarburi. L’Africa, invece, sta sempre più diversificando e reinvestendo. Non a caso , Gran Bretagna, Francia ma anche India e Eau stanno scommettendo su infrastrutture, servizi finanziari e di business, Tlc e rinnovabili. Tutti settori in cui le imprese italiane sanno distinguersi. Ma è necessario superare la logica dei distretti e lavorare per reti di aggregazione, superando i limiti dimensionali e offrendo una gamma di prodotti e servizi articolata sulle esigenze dei nuovi mercati».