Il Sole 18.9.16
Fronte dell’Est. Orban-Kaczynski, la coppia che tiene in ostaggio la Ue
Si rafforza l’intesa tra il premier ungherese e il leader nazionalista polacco
I due: «Ci fidiamo l’uno dell’altro, possiamo andare a rubare cavalli insieme»
di Luca Veronese
La
banda dei «ladri di cavalli» è nata dieci giorni fa a Krynica, nel sud
della Polonia. È lì che per la prima volta Viktor Orban e Jaroslaw
Kaczynski si sono fatti vedere assieme in pubblico. Ed è in questa
cittadina dei Carpazi che il premier ungherese e il grande capo polacco
hanno preparato l’attacco all’Unione europea. E se al vertice europeo di
Bratislava di venerdì hanno usato toni tutto sommato morbidi,
potrebbero presto diventare molto più aggressivi: contro la Commissione
Ue per ridare forza e autonomia ai governi nazionali. Se necessario
tornando a chiedere di modificare i Trattati comunitari. A cominciare
dalle regole sui migranti, una questione sulla quale - sono parole che
vengono dai governi di Budapest e Varsavia - «si decide il futuro
dell’Europa».
Un anno fa, mentre Angela Merkel apriva la Germania
ai rifugiati, Orban faceva costruire dall’esercito un muro di filo
spinato per bloccare i migranti al confine con la Serbia. Negli stessi
giorni Kaczynski si preparava a riconquistare il governo polacco in una
campagna elettorale nella quale alimentava la paura per i migranti:
«Portano malattie», «non vogliamo stranieri non cristiani nella nostra
terra».
Il patto tra Orban e Kaczynski è nato così, per naturale
simpatia oltre che su una visione condivisa del potere, della politica e
della società. «Se ti fidi di qualcuno, diciamo in Ungheria, allora
puoi andare con lui a rubare cavalli. E noi ungheresi andiamo con
piacere a rubare cavalli assieme ai polacchi», ha spiegato Orban.
Kaczynski ha voluto replicare: «Ci sono alcune stalle nelle quali
possiamo rubare cavalli assieme agli ungheresi, una di queste,
particolarmente grande, si chiama Unione europea».
L’obiettivo,
comune e dichiarato, è «l’Europa delle patrie» e Brexit - nella destra
nazionalista e populista - può servire a realizzare «una
controrivoluzione culturale» per rivedere totalmente le politiche decise
a Bruxelles nell’ultimo decennio. Senza però toccare i miliardi di
fondi strutturali comunitari che hanno sostenuto l’economia dei Paesi
dell’Est.
Orban, 53 anni - autoritario e carismatico - comanda in
Ungheria dal 2010 e per Bruxelles è una costante preoccupazione. Non
perde occasione per prendersela con «i poteri forti e le multinazionali
che vogliono comandare in casa d’altri». Ha risollevato l’economia del
Paese ma la sua deriva autarchica, l’ha portato a scontrarsi con tutte
le istituzioni politiche e finanziarie mondiali. Nel 1989, a soli 26
anni, Orban è già un capopopolo e agita la piazza di Budapest contro le
truppe sovietiche ancora nel Paese. Nel 1998 diventa premier per la
prima volta, due passaggi a vuoto non lo abbattono e sei anni fa arriva
la grande rivincita: con il suo partito, il Fidesz, l’Alleanza dei
giovani democratici, ottiene una schiacciante maggioranza in Parlamento
con la quale poi riesce a cambiare la Costituzione.
Kaczynski, 67
anni - schivo, quasi monacale nella vita quotidiana - è stato più volte
premier e ministro. Ha condiviso per anni il potere con il fratello
gemello Lech, morto da presidente in carica nel 2010 in un tragico
incidente aereo, portando la Polonia su posizioni euroscettiche e spesso
contrapponendosi all’azione comune della Ue. Cresce dentro a
Solidarnosc, poi prende le distanze da Lech Walesa fondando il partito
Diritto e Giustizia. Messo all’angolo dai liberali di Donald Tusk (oggi
presidente del Consiglio europeo), torna al potere lo scorso anno: il
premier Beata Szydlo (come il presidente della Repubblica Andrzej Duda) è
infatti una creatura del vecchio leader che rinuncia agli incarichi
nelle istituzioni ma tiene in mano il Paese. Il ritorno al passato della
Polonia prende come modello l’Ungheria di Orban: ecco quindi, una dopo
l’altra, una legge che mette i media sotto lo stretto controllo del
governo, una controversa riforma della Corte Costituzionale, una serie
di misure economiche contro le imprese straniere e contro le banche, per
le quali si arriva a parlare di nazionalizzazione. Inevitabile, per
quanto spuntata, la risposta dell’Unione europea che per la prima volta
avvia una procedura sulla violazione dello stato di diritto contro un
Paese membro (utilizzando proprio le norme introdotte in precedenza per
frenare l’azione di Orban in Ungheria).
Sui migranti Orban e
Kaczynski non intendono fare sconti, appoggiati, seppur con toni meno
accesi, da Repubblica Ceca e Slovacchia, gli altri due Paesi del gruppo
di Visegrad.
«L’arrivo dei migranti mette a rischio la nostra
sicurezza e finirà per annullare la nostra identità culturale e
storica», hanno affermato i due a Krynica, senza ricordare che i
migranti nei loro Paesi sono poche migliaia e ancora meno sono i
rifugiati di religione musulmana. «Le quote di ripartizione nella Ue
sono assurde», ripetono, e Orban già si prepara a trionfare il 2
ottobre, nel referendum che ha voluto per bocciare le proposte di
Bruxelles.
«Nell’Unione continuano a prevalere le stesse politiche
migratorie ingenue e autodistruttive di prima. Si parla più di
accelerare la distribuzione dei rifugiati che di fermare i migranti ai
confini di Schengen. Il vertice di Bratislava è stato un insuccesso,
nulla è cambiato sull’immigrazione», ha detto Orban due giorni fa. La
scorribanda dei due «ladri di cavalli» è solo rinviata.