domenica 18 settembre 2016

Il Sole 18.9.16
la crescita , i migranti, le regole del negoziato
La diagnosi corretta e l’apatia dell’Europa
di Carlo Bastasin

Il governo italiano è arrivato al consiglio Ue di Bratislava con un’agenda che era diversa da quella degli altri paesi e, come spesso succede in questi casi, ne è uscito isolato. La bassa crescita dell’economia europea non è considerata un problema comune da molti altri governi e nemmeno dalla maggioranza dei cittadini europei. Forse si sbagliano tutti – anzi è quasi certo che sia così – ma nei grafici dei sondaggi europei, discussi prima del Consiglio nei negoziati preparatori, si vede come i problemi dell’economia siano in basso nella lista delle preoccupazioni dei cittadini che è invece dominata dal tema dell’immigrazione. Il governo italiano d’altronde arrivava al vertice sulla scia degli ultimi dati dell’economia ben poco incoraggianti. I partner dovrebbero anch’essi preoccuparsi di un rallentamento che l’anno prossimo può avere ripercussioni sul rapporto tra debito e pil italiano e quindi sulla stabilità dell’euro-area, ma resta il fatto che l’Italia (come il Portogallo) è vista come un caso speciale di bassa crescita strutturale al quale è stata già offerta solidarietà attraverso gli interventi della Bce, senza i quali l’economia italiana starebbe vivendo il sesto anno di fila di recessione. Ha certamente ragione il governo italiano a denunciare una grave sottovalutazione strategica dei problemi africani, ma quello che non poteva funzionare dal punto di vista negoziale è che ogni giusto problema sollevato dai negoziatori italiani sembri avere sempre la stessa sospetta soluzione: toglierne i relativi costi dal calcolo del patto di stabilità in modo da lasciare “spazio” all’azione fiscale di un governo che si trova sotto la pressione degli appuntamenti politici. Togliere dai calcoli sul debito eccessivo o sulla “deviazione significativa dagli obiettivi di medio termine” del bilancio italiano i costi per far fronte all’immigrazione, per le spese della difesa militare, per le operazioni di sicurezza interne ed esterne, per l’edilizia scolastica e infine per la prevenzione delle catastrofi naturali, riduce tutte queste giuste azioni politiche a occasioni di indisciplina fiscale. Togliere le spese “buone” dal 3% apre spazio proprio alle altre spese “meno buone”, aumentando il debito pubblico e sollevando la diffidenza dei partner.
Ciò non toglie che la diagnosi italiana sulla fragilità europea sia corretta. Tra gli altri governi cresce invece l’apatia e il disinteresse ed è stato giusto lanciare un allarme sulla precarietà istituzionale dell’economia europea. Ma la terapia italiana non rappresenta una strategia negoziale di successo. Lo stesso presidente della Commissione Jean-Claude Juncker, che difende una lettura “politica” di regole che hanno perso credibilità, ha dovuto attenuare i toni nel discorso sullo stato dell’Unione alla vigilia di Bratislava. Insistere troppo sulla strategia di maggiore spesa pubblica, fa perdere credibilità alle corrette attenzioni del governo italiano per grandi temi, davvero “secolari”: la stagnazione dell’economia europea, causata da un eccesso strutturale dei risparmi rispetto agli investimenti, e la grande migrazione africana di oggi e dei prossimi decenni.
La strategia italiana va affinata in vista del Consiglio di marzo 2017 – anniversario del Trattato di Roma. A questo fine, è davvero poco utile giocare sui toni anti-europei. A Bratislava d’altronde si svolgeva una riunione tra i capi di governo, la cui agenda era stata scritta dal polacco Donald Tusk, il presidente del Consiglio Ue meno federalista della storia europea. Per l’Italia si dimostra un'occasione mancata non aver incoraggiato nel 2013 la scelta di un candidato italiano per quel ruolo decisivo (determina l’agenda degli incontri tra i capi di governo Ue). Tusk aveva fatto chiaramente capire che Bratislava sarebbe stata l’occasione per negoziare l'accordo dei paesi dell’Est con Merkel in modo «che non si ripeta più il caos del 2015», che Tusk ha attribuito all’eccesso di «utopismo» della cancelliera. Può ripugnare il cinismo di Tusk e dei governi dell'Europa orientale, ma bisognava allora protestare in sede di preparazione del vertice di Bratislava non a giochi fatti, quando era inutile, con il risultato di isolare la posizione italiana. Merkel sembra aver accettato l’idea di un contingente europeo di immigrati anziché di precise soglie nazionali e l’Italia deve intervenire per evitare di essere vittima di questo accordo. Il documento finale di Bratislava è generico, con poche scadenze e obiettivi precisi riferiti comunque a processi già in atto. Ma il testo fa chiaro riferimento alle cooperazioni rafforzate, cioè a gruppi di paesi che procedono con politiche comuni, e Roma deve utilizzare questa opportunità, quindi deve cooperare non isolarsi. Nessuno ha mai sentito parlare di “isolamenti rafforzati”...
Per Angela Merkel e François Hollande non c’è alcun dubbio che il problema dell’immigrazione e quello del terrorismo siano oggi molto più rilevanti dei problemi economici italiani. Non si tratta di opportunismo in vista delle elezioni, ma di realtà dei fatti quotidiani nei loro paesi, a Bautzen come a Nizza, a Bitterfeld come a Calais. Tuttavia sarebbe forse possibile far loro capire che l’insofferenza per tutto ciò che è apertura – migrazione e globalizzazione - è correlata al calo relativo dei redditi medio-bassi rispetto al resto della società e alle difficoltà dei giovani rispetto ai vecchi. I cittadini che quando si aprono i confini si sentono tra i perdenti, chiedono di richiudere subito le frontiere, con le buone o con le cattive. Se non si vuole cedere all'imbarbarimento, la debolezza dell’economia – e l’ingiustizia sociale - devono diventare un tema rilevante anche per gli altri paesi. Impostarli come una strategia di governi socialisti del Mediterraneo non ha aiutato a proporre una sintesi del comune interesse e Hollande è stato il primo a scansarsi. Da parte sua, Merkel è in una fase di debolezza politica, ma ha già dimostrato di sapersi riprendere in passato. Inoltre ogni fragilità della cancelliera viene compensata dal consenso dell'elettorato conservatore per Wolfgang Schäuble che ha già cancellato i propositi di ritirarsi dalla politica e anzi rimane, in caso di crisi grave a Berlino, il “cancelliere di riserva”.
Molti temi sollevati dal governo italiano potrebbero essere condivisi da Berlino, a cominciare dall’armonizzazione fiscale e dal rilancio degli investimenti europei, a cui si è fatto riferimento a Bratislava. Di questi ultimi l’Italia può ottenere una quota elevata presentando proprio quei progetti che invece vuole sottrarre al calcolo del deficit.
Ma ci sono dei problemi intrinseci all’Italia nell’essere credibile quando solleva anche gli argomenti più giustificati. Prima di tutto, non bisogna dissimulare la realtà dei problemi nazionali, a cominciare da quelli del debito pubblico per finire con quelli che hanno colpito il sistema del credito. Poi bisogna avere una strategia di riforma dell’economia nazionale più incisiva, che tocchi anche gli interessi delle lobby, a livello sia nazionale che locale. Infine bisogna dimostrare con i fatti che il controllo della spesa pubblica è serio e che lo sforamento dei limiti di bilancio non è solo un’occasione per aumentare la cattiva spesa pubblica, bensì per rilanciare gli investimenti. Una volta chiarita l'agenda nazionale, bisogna giocare al meglio su uno scacchiere complesso come quello dei negoziati europei.