Il Sole 17.9.16
Una distanza che complica la partita sulla flessibilità
di Dino Pesole
Il
passaggio dalla fase del rigore a senso unico verso direzione di
politiche per la crescita, e dunque per la flessibilità di bilancio -
stando all’esito del vertice europeo di ieri a Bratislava - è lungi dal
produrre gli effetti sperati. Con conseguenze implicite, e ora tutte da
verificare sul campo, sulle aspettative del Governo di ottenere nuova
flessibilità a beneficio dei conti del 2017. Si marcia non sulla stessa
rotta, su temi decisivi come le politiche per la crescita e i migranti.
Distanza resa plasticamente evidente dalla decisione del premier Matteo
Renzi di non partecipare alla conferenza stampa finale insieme ad Angela
Merkel e Francois Hollande. «Non siamo soddisfatti delle conclusioni
del vertice su crescita e migranti», ha detto Renzi. Posizione
diametralmente opposta alle intese di massima esposte a Ventotene il 22
agosto, e all’apertura della stessa Merkel sui fondi da destinare alle
zone terremotate espressa nel bilaterale Italia-Germania di Maranello
del 31 agosto.
Ora obiettivamente il cammino verso la manovra di
bilancio che sarà predisposta da qui a un mese si fa più in salita.
Intenzione del Governo è di far valere alcuni punti: l’impatto della
frenata dell’economia sui conti pubblici, ma anche l’andamento
dell’inflazione che rende problematica la discesa del debito. Accanto
alle nuove emergenze, in primo luogo appunto la ricostruzione nelle zone
dell’Italia centrale colpite dal terremoto del 24 agosto, che rientrano
a pieno titolo nelle «circostanze eccezionali» contemplate dal Patto di
stabilità. Renzi ne ha discusso ieri informalmente con il numero uno
della Commissione europea, Jean Claude Juncker, favorevole in linea di
principio a un’interpretazione più “flessibile” del Patto di stabilità.
Ma è del tutto evidente che su questo punto la vera partita la si
giocherà nel confronto con Berlino e Parigi.
Il tutto dovrebbe
tradursi, negli auspici di palazzo Chigi e del ministero dell’Economia,
in un margine di maggior deficit da sfruttare il prossimo anno, fermo
restando il rinnovato impegno a mantenere il disavanzo ampiamente al di
sotto del tetto massimo del 3 per cento. Per una manovra che parte già
con l’ingombrante fardello di oltre 15 miliardi di clausole di
salvaguardia da disinnescare (in caso contrario dal 1° gennaio
aumenterebbero Iva e accise), la flessibilità europea (via incremento
del deficit nominale) risulta decisiva. In caso contrario, come ha
rilevato il Centro studi di Confindustria, si renderebbe necessario un
aggiustamento dei saldi per 16,6 miliardi. E le risorse da indirizzare a
politiche “espansive” in grado di sostenere la domanda interna si
ridurrebbero notevolmente. Tra breve il Mef renderà note le nuove stime.
Di certo si parte dalla constatazione che nel 2017 la stima di
crescita, fissata nel Def di aprile all’1,4%, dovrà essere rivista al
ribasso. Ci si attesterà di poco al di sopra dell’1% (il Csc non si
spinge oltre lo 0,5%), con il risultato che la previsione di deficit
dell’1,8% (già in aumento rispetto all’1,1% di partenza e all’1,4%
dell’ultima correzione) non potrà essere rispettata. Fissare la nuova
asticella nei dintorni del 2,3-2,4% aprirebbe spazi di manovra
quantificabili tra gli 8 e i 10 miliardi.