il manifesto 17.9.16
Il confronto con l'Anpi
Per Renzi «è andata bene». Ma stavolta sa che non ha vinto
Smuraglia: dal premier cadute di stile ma ho evitato di eccitare gli animi
Il partigiano dà una lezione di «merito» e smonta la coppia vecchio-nuovo
Il leader invita i contestori a «prendere una camomilla»
di A. Fab.
ROMA
Quando Matteo Renzi aveva sfidato Carlo Smuraglia invitandolo a un
confronto pubblico sulla riforma costituzionale, e il presidente
dell’Anpi dopo aver ottenuto qualche minima garanzia (essenzialmente il
conduttore, Gad Lerner) aveva accettato, anche di recarsi ospite alla
festa del Pd bolognese, in molti avevano giudicato la scelta del
novantenne Smuraglia al limite dell’azzardo. Conoscendo la parlantina di
Renzi. Invece ha avuto ragione lui. Il dibattito di giovedì sera
testimonia che in politica anche il più ardito castello di parole ha
bisogno di qualche argomento nelle fondamenta. E verità e propaganda si
possono distinguere persino nell’epoca degli spin doctor e delle enews.
Anche
i commenti del giorno dopo dei due protagonisti lo confermano. «Nel
dibattito ho insistito molto sul merito delle riforme, Renzi ha
preferito parlare più volte di politica e dei meriti del governo, anche
per riscaldare i suoi fan già agguerriti». Ha detto Smuraglia. «È molto
chiaro che chi vuole cambiare vota sì e chi vuole lasciare le cose come
sono vota no», ha proseguito nello spot Renzi. E poi si è preso i
meriti: «Dimostriamo che c’è la possibilità di dialogare e discutere
civilmente e pacatamente». Per restare pacato e civile non ha fatto
l’imitazione di Smuraglia come fa quella di D’Alema.
Ma il
presidente dell’Anpi, dopo aver riconosciuto l’accoglienza affettuosa
riservatagli «anche da parte di alcuni che si dichiaravano per il Sì»,
caparbio, non ha rinunciato nemmeno ieri alle puntualizzazioni. «Ho
registrato con rammarico e con un po’ di intima indignazione una caduta
di stile», ha scritto per il sito dell’Anpi, e cioè la riproposizione
anche da parte di Renzi della «stantia distinzione tra partigiani veri
(quelli che votano Sì) e partigiani meno meritevoli e meno veri (a
cominciare da me) per il solo fatto che votano No». Renzi non lo ha
detto chiaramente, come aveva fatto la ministra Boschi, ma sul palco di
Bologna ha fatto un piccolo elenco di partigiani per il Sì, citando
ancora una volta la figura mitica del comandante Diavolo, il 97enne
Germano Nicolini, deciso a votare per la riforma costituzionale. «È
stato di cattivo gusto ed ha irritato molti degli iscritti all’Anpi
presenti», ha detto Smuraglia, che invece per tutta la serata ha
ripetuto di non volersi intromettere nelle vicende interne al Pd,
evitando qualsiasi riferimento al dibattito sul Sì e sul No all’interno
del partito. Ed evitando persino di coinvolgere il governo, il cui
destino ha ricordato non può essere legato al referendum ma solo alla
fiducia del parlamento. Un’altra bella lezione che Renzi ha colto al
volo quando, poco dopo, ha risposto a una contestatrice in un modo che è
apparso contraddittorio con i ripetuti annunci di dimissioni in caso di
sconfitta: «Solo il parlamento può mandarmi a casa».
Di fronte
alla «caduta di stile» e al «cattivo gusto», ha detto Smuraglia, «ero
stato tentato di reagire vivacemente sul palco, ma ho preferito evitare
di eccitare gli animi». Eppure ha vinto lo stesso la sfida. Non solo, e
non tanto, nel conto degli applausi della platea. Ma sul palco, per la
capacità di restare serenamente aggrappato ai suoi argomenti. Mentre
Renzi litigava con i contestatori invitandoli a «prendersi una
camomilla» o si incazzava con la festa dell’Unità e con il mondo fuori
che vuole «salvare le tutte le poltrone dei politici», Smuraglia
avvertiva di non avere problemi di contraddittorio: «Fischiatemi pure,
non mi farete tacere». Ma hanno fischiato di più l’altro.