martedì 13 settembre 2016

Il Sole 13.9.16
Il difficile rapporto della Clinton con la trasparenza
Dallo scandalo delle email alle ombre sull’attacco di Bengasi, dal caso Uranium One ai rapporti con la Fondazione del marito Bill
di Mario Platero

Hillary ha dunque scelto la trasparenza: darà le sue cartelle cliniche. Resta il fatto che la storia della polmonite, non è solo la storia di una malattia, è anche la storia di un problema di carattere: la Clinton sapeva di essere malata da alcuni giorni, anche prima delle curiosità attizzite dai suoi violenti, inarrestabili, preoccupanti colpi di tosse in aereo coi giornalisti la settimana scorsa. Eppure, nonostante Donald Trump la incalzasse chiedendo notizie sulla sua salute, non aveva mai detto nulla.
È questo suo limite, quello del non essere aperta, che ritroviamo in altri episodi della sua vita pubblica, a crearle le vere difficoltà. Non ha ancora capito quanto in politica sia importante giocare d’anticipo, agire “prima” di essere scoperti. Alla polemica sulla polmonite si aggiunge un passato di ambiguità e di “bugie”, a partire dal server personale per gestire le sue email anche top secret, per arrivare all’attacco a Bengasi di cui si ebbero molte versioni diverse prima di arrivare a quella vera, fino alla sua approvazione di una delicatissima operazione di vendita alla Russia di un’azienda canadese che di fatto controlla il mercato dell’uranio. Per le email la storia la conosciamo. Poi l’Fbi ha concluso che ci fosse negligenza, ma non criminalità infine al numero delle email se ne sono aggiunte altre 15mila che non sono ancora state passate al setaccio, saranno rese note in ottobre. Momento delicatissimo per la vicinanza dell’appuntamento dell’8 novembre. In tutto questo Trump, che pure era in gravi difficoltà per le sue leggerezze, ha recuperato e il suo distacco dalla Clinton si è ridotto a soli tre punti.
Nel caso di Bengasi, a parte la dinamica politico-militare e le polemiche sull’incompetenza di Hillary che non “salvò” l’Ambasciatore Christopher Stevens nonostante avesse chiesto protezione, il danno per la candidata democratica venne dal tentativo di “coprire” l’evoluzione dei fatti. Susan Rice, allora Ambasciatore alle Nazioni Uniti negò in una celebre intervista con Meet the Press della Nbc che si fosse trattato di un attacco terroristico e attribuì il disastro a una protesta spontanea. Tutto per proteggere Hillary. La Rice fu distrutta dai media e dall’opposizione e quel suo gesto “sacrificale” le costò la poltrona di segretario di Stato cui ambiva dopo l’annuncio delle dimissioni di Hillary. Fu poi nominata capo del Consiglio per la Sicurezza Nazionale della Casa Bianca.
C’è poi l’episodio di Uranium One, l’azienda canadese produttrice di uranio, una delle più grandi del mondo. Fra il 2009 e il 2013 l’azienda di stato russa Rosaton cominciò ad acquistare pacchetti di Uranium One e gli azionisti di Uranium One, o meglio il Presidente dell’azienda a quel punto legato a Mosca cominciò a fare donazioni alla Clinton Foundation. All’inizio come rivelò lo stesso New York Times furono alcuni milioni di dollari, ma “Clinton’s Cash” un libro scritto da Peter Schweizer, rivela che la donazione complessiva sarebbe stata di 145 milioni di dollari. Non solo, Hillary dopo il suo ritorno alla vita privata andò a Mosca per un pronunciare un discorso alla Banca russa Renaissance, compenso: 500mila dollari. Di nuovo, la banca è vicina al Cremlino, aveva lavorato all’affare per conto di Rosaton. Il Problema? Il dipartimento di Stato guidato in quegli anni da Hillary doveva autorizzare la vendita alla Russia visto che per Uranium One passava anche il 20% dell’uranio americano. Una questione di sicurezza un controllo necessario per evitare che la principale fonte per armare le testate nucleari finisse in mano al “nemico”. Ci furono telefonate e l’accordo fu autorizzato dal dipartimento di Stato.
Ma il rapporto “vicino” tra Fondazione Clinton e dipartimento di Stato ha dato l’impressione di violare l’etica del conflitto di interesse in molte altre occasioni. Una questione di carattere insomma e per Hillary la corsa è in salita: riuscirà a convincere gli americani di essere trasparente e non opaca entro il primo dibattito del prossimo 26 settembre?