Il Sole 10.9.16
L’atomica di Kim
La follia del dittatore, l’ambiguità di Pechino
La Cina condanna il test ma appoggia il regime in chiave anti-Usa
di Ugo Tramballi
Per
il tono enfatico e lo sguardo trionfante dell’annunciatrice della tv di
stato, sembrava un divertente remake del Daily Show di Jon Stewart.
Invece c’era poco da ridere: la settantatreenne Ri Chun-hee,
l’inaffondabile annunciatrice di tre Kim (il fondatore Il-sung, il
figlio Jong-il e il nipote Jong-un, attuale leader), spiegava al mondo
che la lunga marcia nucleare della Corea del Nord è inarrestabile,
nonostante le minacce e le sanzioni.
L’ultimo dei cinque test
nucleari sotterranei in dieci anni è stato il più potente di tutti:
equivalente a una decina di kilotoni. Di gran lunga inferiore ai 15
dell’energia emanata dalla bomba su Hiroshima e nulla rispetto alla
capacità distruttiva degli arsenali di oggi. Ma con questo esperimento
la Corea del Nord si avvicina sempre di più all’arma assoluta: la bomba
capace di stare nella testata di un missile che abbia capacità
balistiche. Cioè intercontinentali, cioè senza limiti di gittata: oltre
la Corea del Sud, il Giappone, fino alle coste pacifiche degli Stati
Uniti.
Questa follia non sarebbe possibile senza l’ambiguità della
Cina e quelle che ritiene siano le sue prerogative strategiche. «Forte
opposizione» al test nordcoreano, hanno di nuovo ripetuto ieri a
Pechino, ed è indubbio che siano preoccupati anche loro. Ma lungo la
frontiera tra i due Paesi i commerci non sono stati interrotti,
nonostante la Cina avesse aderito alle precedenti sanzioni. E ancora la
settimana scorsa al G20 Xi Jinping aveva ripetuto a Barack Obama la sua
forte opposizione al nuovo sistema anti-missilistico installato dalla
Corea del Sud. L’obiettivo del “Thaad” (Terminal High Altitude Area
Defense) è soprattutto creare uno scudo che protegga dalle eventuali
tentazioni del giovane Kim. Ma per la Cina è una minaccia alla capacità
di deterrenza del suo arsenale nucleare.
Poiché nessuna potenza
atomica pensa seriamente di utilizzare le sue testate, da decenni il
gioco fra di loro è fondato sulla capacità teorica di distruzione che
ognuno possiede: a dispetto dei trattati internazionali contro la
proliferazione, un Paese che ha questa capacità conta più di chi non ce
l’ha. È per questo che la vuole anche la Corea del Nord, nonostante sia
alla fame. In questa logica qualsiasi cosa rappresenti una deterrenza
alla capacità distruttiva di un arsenale nazionale – come uno scudo
antimissile – è una minaccia quasi simile a un attacco nucleare vero.
La
Cina dunque preferisce una Corea del Nord con la bomba, piuttosto che
una Corea del Sud capace di vanificare la bomba cinese. Non solo. Se
Pyongyang non fosse così militarmente minacciosa, ora anche col
nucleare, ci sarebbero più opportunità per far cadere il regime e
riunificare la penisola in una Corea democratica guidata da Seul.
Un’altra ipotesi che la Cina non tollera: gli Stati Uniti, garanti della
sicurezza coreana del Sud, non sarebbero più al 38° parallelo, ma alle
frontiere cinesi. Già nel 1950 Mao entrò in guerra accanto a Kim Il-sung
per impedire che gli americani raggiungessero le sue frontiere.
Le
preoccupazioni geopolitiche di Xi Jinping sono molto simili a quelle di
Vladimir Putin da quando la Polonia e le repubbliche baltiche sono
membri della Nato e le esercitazioni dell’Alleanza atlantica si fanno a
pochi chilometri dai confini russi. Tutto questo ha come fondamento la
convinzione cinese di poter controllare il regime coreano del Nord, il
giovane Kim e la sua casta militare: potrebbe essere il punto debole del
pensiero strategico cinese.