Il Sole 10.9.16
La Cina rinuncia a trainare la ripresa globale
Presa d’atto inaspettata in occasione del recente G20: l’economia deve rimettere in ordine i suoi indicatori
di Rita Fatiguso
PECHINO
La Cina si è letteralmente aggrappata al G20 che ha da poco chiuso i
battenti ad Hangzhou nel tentativo di trovare una soluzione condivisa ai
problemi della crescita globale. Una strategia utilissima ai cinesi per
poter far fronte ai problemi interni con i quali sono alle prese
quotidianamente.
Nel discorso alla Nazione del 5 marzo scorso, il
premier Li Keqiang ha fissato, infatti, in un misero 6,5 la linea del
Piave della crescita programmata per il 2016. Scendere al di sotto –
cosa che molti addetti ai lavori ritengono più che probabile–
provocherebbe ulteriori problemi a catena.
Sempre il premier Li
Keqiang ha dovuto ammettere alla vigilia del G20 che, per la prima
volta, la Cina non si candida a far da traino alla ripresa mondiale.
«Dovrete fare a meno di noi»: questa è stata una presa d’atto
inaspettata, un passo indietro rispetto a quello che siamo abituati ad
aspettarci da Pechino, un mix di forza muscolare, dichiarazioni
granitiche, dati poco trasparenti. Anche il G20 di Hangzhou ha portato
frutti in settori soprattutto legati all’economia più che alla politica e
si comprende il perché: la Cina in questo momento ha bisogno di
raddrizzare i suoi fondamentali.
L’economia reale cinese, infatti,
è sempre più sotto pressione. Certo, per riequilibrare le posizioni la
Cina spinge molto all’esterno, tra Summit internazionali e Go global
delle sue aziende, M&A a raffica, si ha l’impressione che la
seconda potenza mondiale sia in forma smagliante.
Invece, le
prospettive scarse di crescita sono il riflesso di un vero e proprio
rallentamento reso ancora più grave dalle riforme che vanno a rilento,
il che rende ancora più preoccupante il peso di alcuni problemi
destinati a crescere di dimensioni: tra questi, senz’altro, rientra il
debito pubblico ormai assestato oltre quota 260% del Pil. La Cina ripete
che i margini ci sono per poter reggere il peso di questo debito
galoppante, ma la natura dei diversi tipi di debito continua a creare
scompensi.
Una misura importante da adottare sarebbe quella di
ridefinire i rapporti finanziari tra il centro e le amministrazioni
locali (ovvero l’80% delle spese contro il 50% di quota di entrate per i
governi locali) per i quali l’anno scorso l’amministrazione finanziaria
guidata da Lou Jiwei ha introdotto un tetto di spesa annuale. Ma il
piano di Lou Jiwei di riforma fiscal-finanziaria trova sempre nuove
difficoltà e anche l’internazionalizzazione del renminbi, fiore
all’occhiello del ministero stesso, ha rallentato il passo dopo il
crollo della Borsa di un anno fa. C’è chi insinua, addirittura, che si
stia verificando uno stop vero e proprio.
La riforma dell’Iva,
ormai finalmente partita, ancora non dà frutti e per il resto c’è molta
strada da fare per riformare il sistema fiscale.
Nessuno
sottovaluta le difficoltà, pratiche, politiche e culturali di introdurre
in Paese come la Cina una tassa sulla proprietà, ma il fatto che queste
tasse possano essere operative entro il 2020 sembra una pia opinione,
come pure le imposte sul reddito.
Le imprese, d’altro canto, e
non solo quelle pubbliche, sono oberate dai debiti. In un clima di
scarsa liquidità gli swap impazzano, ovvero la banca sostituisce un
prestito con un’obbligazione. Il che significa che un prestito di 10
milioni di Rmb è sostituito da un vincolo di finanziamento di 10 milioni
di Rmb. Una spirale senza fine che sta ulteriormente vincolando
soprattutto le amministrazioni locali. La banca acquista il vincolo,
finanzia il Governo provinciale, che dovrebbe consegnarlo alla banca.
Molti di questi progetti finiscono per foraggiare forme occulte di
finanziamento di infrastrutture, proprio quegli stimoli all’economia che
nel 2008 furono adottati sotto la pressione della crisi mondiale per
lasciare dietro di sé un mare di problemi. In questo nuovo circolo
vizioso anche le banche perdono il margine di interesse - le
obbligazioni pagano meno dei prestiti. Così lo swap si trasforma in uno
stimolo occulto all’economia. Questo meccanismo sta limitando anche
l’operatività del sistema dei bond locali, soggetto invece alle
condizioni di mercato. Si dice che in Cina il 76% delle obbligazioni,
pari a 5,2 miliardi di yuan, finiscano per finanziare ancora i progetti
dei governi locali, molti dei quali campati per aria. Un vero e proprio
boomerang per un Paese che ha bisogno, invece, di finanziare in maniera
sana e trasparente l’economia reale, cioè le imprese utili alla
crescita.