il manifesto 9.9.16
La Germania e il suo dover essere
La prossima settimana Berlino va al voto e si vedrà la tenuta di Frau Merkel, unico argine alla deriva verso l’Afd
di Jacopo Rosatelli
«La
Germania resta la Germania»: difendendo la linea «umanitaria» sui
profughi, l’altro ieri Angela Merkel ha concluso così il suo intervento
al Bundestag. Parole che suonano, al contempo, di rassicurazione e
rivendicazione: la Repubblica federale è e resterà un Paese forte e
prospero, la cui Costituzione riconosce a qualunque straniero
perseguitato il diritto all’asilo.
Il principale destinatario del
messaggio della cancelliera non era la destra in pericolosa ascesa di
Alternative für Deutschland (Afd), ma la Csu, il partito
cristiano-sociale bavarese, ormai fratello-nemico della Cdu merkeliana.
Le distanze tra Monaco e Berlino sono enormi, e da ieri è più chiaro che
aumenteranno ancora, i bavaresi hanno stilato un documento ufficiale
che è un proclama di guerra. «La Germania deve rimanere la Germania»: la
frase-chiave è uno slogan che suona come un’aperta provocazione a
Merkel.
La differenza la fa tutta quel «deve», un verbo
pesantissimo che sta a indicare il pericolo che la Germania, con
l’attuale politica verso i profughi, stia perdendo sé stessa, la propria
identità. Un’identità che i conservatori della Csu intendono in maniera
radicalmente diversa dalla cancelliera: è la Germania cristiana quella a
rischio di snaturamento.
Le proposte dei bavaresi sono la rottura
di un tabù: divieto di velo integrale, limitazione del numero dei
richiedenti asilo, ma soprattutto priorità ai migranti in arrivo da
«Paesi cristiani». Il fantasma dell’islamizzazione della Germania smette
dunque di essere agitato solo dagli estremisti di destra di Pegida e
dell’Afd per diventare moneta corrente anche in un partito «democratico»
e di governo. Nell’appello della Csu alla difesa dei «valori tedeschi»
sono evidenti e inquietanti le analogie con le retoriche del «tramonto
dell’Occidente» e della Germania minacciata dagli «estranei» al proprio
interno: quelle narrazioni tossiche che dopo la prima guerra mondiale
contribuirono a preparare il terreno per l’ascesa del nazismo.
La
strategia della Csu è di cercare di contenere l’avanzata
dell’Alternative assumendo, in sostanza, la sua agenda. A Monaco
gradirebbero che anche la Cdu facesse lo stesso, ma finché resta Merkel
ciò non accadrà. E ormai è chiaro a tutti.
Dentro la Cdu non
mancano militanti e dirigenti che la pensano come i cugini bavaresi, ma
sino ad ora nessuno sembra intenzionato a contendere la leadership alla
cancelliera. Ma nulla è da escludere: una pesante sconfitta della Cdu
anche alle elezioni nella città-stato di Berlino della prossima
settimana potrebbero fare uscire finalmente qualcuno allo scoperto.
Magari con una sorta di Sarkozy tedesco, che potrebbe avere le sembianze
proprio del governatore bavarese Horst Seehofer. Difficile, ma non
impossibile. Ci sono due precedenti nella storia della Repubblica
federale di un leader della Csu – Franz Josef Strauss nel 1980 ed Edmund
Stoiber nel 2002 – alla guida dello schieramento conservatore Cdu/Csu.
Merkel
appare, in questa fase, un argine al dilagare del neo-nazionalismo
teutonico, ma è un argine troppo debole. Perché insieme alla «nuova»
cancelliera «amica dei profughi» (ma anche del presidente turco
Erdogan), c’è quella di sempre, indifferente alla questione sociale e
agli squilibri economici. È di questi giorni la notizia che nella
Repubblica federale si è toccato il record di lavoratori interinali
(circa 1 milione), il 65% dei quali ha un salario al di sotto della
soglia di povertà.
La legge di bilancio in discussione in
Parlamento prevede anche quest’anno il deficit zero, e quindi risparmi
negli investimenti richiesti a gran voce da sindacati ed enti locali. E
resta clamoroso lo sbilanciamento verso l’export del sistema produttivo,
possibile grazie a una durevole compressione della domanda interna, e
fatale per la coesione in Europa. Tutti fattori che rendono il clima
sociale depresso e spalancano le porte a chi usa l’insoddisfazione e il
disagio dei ceti medio-bassi per il proprio disegno xenofobo ed
etno-nazionalista.
Il quadro sconfortante fa emergere quello che
alla Germania di oggi drammaticamente manca: un’alternativa
all’Alternative fascistoide che non sia Merkel.
Un progetto di
sinistra che sfidi la nuova destra non solo innalzando le bandiere del
cosmopolitismo della Costituzione, ma anche compiendo finalmente una
svolta sul piano sociale, da cui trarrebbero giovamento non solo i
tedeschi, ma tutti gli europei. Condizione necessaria: che la Spd torni
socialdemocratica, molli i democristiani e costruisca un’alleanza con la
Linke e i Verdi. Nelle due forze minori, pur con qualche
contraddizione, la disponibilità esiste. Se nella Spd esistano il
coraggio e l’intelligenza di raccoglierla, saranno i prossimi mesi a
dirlo.