il manifesto 9.9.16
L’insostenibilità dell’eurozona. Prepariamo un piano B
Unione
europea. Una proposta a Yanis Varoufakis: definiamo le sinergie tra
«disobbedienza ostinata» e un piano cooperativo per superare l’euro, non
l’Ue
di Stefano Fassina
Il 6 settembre, Yanis
Varoufakis ha proposto anche sul manifesto un’interessante rassegna
delle posizioni progressiste sull’Ue. La prima posizione,
l’«euro-riformismo standard», seguita in genere dai socialdemocratici,
per «più democrazia», «più Europa» e «riforma delle istituzioni», viene
giudicata, fondatamente, senza prospettive, anzi una traiettoria di
aggravamento. Nella seconda posizione c’è «un segmento della sinistra
europea che invoca la rottura della Ue». Impropriamente, l’autore la
etichetta come Lexit e la associa alle derive nazionaliste sempre più
intense. Infine, la terza posizione, il Manifesto di Diem25, è
caratterizzata dalla «disobbedienza ostinata» ai trattati europei al
fine di costringere le istituzioni europee a piegarsi.
La rassegna
proposta da Varoufakis è incompleta. A sinistra, in realtà in un’area
più ampia dato che include un numero crescente di visioni politiche e
economiche mainstream, esiste un’altra posizione. È una posizione
difficile da delegittimare per subalternità e involontario sostegno a
partiti e movimenti xenofobi e nazionalisti, poiché non ha l’obiettivo
di disgregare l’Ue. Anzi, è l’opposto. È coerente con le culture
internazionaliste della sinistra. Secondo tale posizione, una
«separazione consensuale» dell’eurozona è condizione necessaria per
salvare l’Ue. È da ultimo la posizione di Joseph Stiglitz. È la
posizione di molti dei firmatari, incluso il sottoscritto, dell’appello
di Lexit network (vedi il sito www.lexit-network.org) uscito a giugno. È
la posizione da me espressa nell’articolo citato da Varoufakis nel
quale insisto su «la riaffermazione della sovranità nazionale, nella
misura possibile in un contesto di mercati globali de-regolati, per
rilegittimare e rilanciare la cooperazione europea».
L’analisi di
Varoufakis ignora la posizione «euro-Lexit» in quanto l’ex-ministro
delle Finanze ellenico sovrappone Ue e eurozona, mentre la distinzione
dei due ambiti di conflitto politico è decisiva. La strategia di
«disobbedienza ostinata», sebbene molto difficile, può essere efficace
in un paese europeo che ancora dispone della sua moneta e della sua
banca centrale. Invece, senza una alternativa organizzata, è un bluff
per un paese dell’eurozona segnato da pesanti condizioni economiche,
sociali e finanziarie, come il caso greco ha drammaticamente
evidenziato. Quale governo nazionale può compiere una significativa
violazione delle regole senza avere una via di uscita praticabile dal
giogo dell’eurozona? Quale governo nazionale può rivolgersi al suo
popolo, anche quello più provato come è stato per i greci, e ottenere il
sostegno per un salto nel buio? Anche nell’ipotesi che vi sia un
governo sufficientemente «coraggioso» da disubbidire alle regole
dell’eurozona, quali forze politiche guadagnerebbero dal caos
conseguente alla rigidità delle istituzioni europee?
La sinistra? Non è, invece, il contesto del caos il miglior viatico per l’affermazione dei movimenti regressivi?
La
terza via di Varoufakis è semplicistica anche perché riconduce l’ordine
economico e sociale dell’Ue e dell’eurozona soltanto alle scelte non
democratiche del big business e della finanza internazionale.
Purtroppo,
la realtà è più complicata. Purtroppo, la «generazione Erasmus» è
minoranza anche nella sua coorte anagrafica, oltre che nella società,
come ha squadernato il voto per la Brexit. Purtroppo, i pilastri
dell’eurozona, nel paese leader e nei suoi satelliti, sono condivisi da
larghi settori di popolo: disoccupati, lavoratori, piccole imprese,
pensionati. Ad esempio, in Germania, un’ampia maggioranza di cittadini
sarebbe contraria alle modifiche necessarie allo statuto della Bce
affinché l’istituto di Francoforte diventi prestatore di ultima istanza,
correzione decisiva per la sopravvivenza dell’euro. Nell’economia
leader dell’eurozona, i sindacati delle grandi aziende metalmeccaniche
sono indisponibili a abbandonare la rotta mercantilista del loro paese,
il fattore più distruttivo della moneta unica. Purtroppo, sono in campo
gli interessi nazionali.
Tuttavia, la «disobbedienza ostinata» può
avere una funzione importante. La mia proposta è di unire le nostre
energie, a partire dalle città. Noi condividiamo sia i valori di fondo,
sia la consapevolezza dell’insostenibilità dell’eurozona. Definiamo le
sinergie tra «disobbedienza ostinata» e un piano cooperativo per
superare l’euro, non l’Ue. Con un «piano B» preparato attraverso
iniziative transnazionali di movimenti, sindacati, partiti, forze
intellettuali può essere meno improbabile che la disobbedienza porti al
pentimento del «reo» o al caos. Tra pochi giorni, il 23 settembre a
Berlino, grazie alla Linke, abbiamo una prima opportunità per fare passi
avanti insieme.
Come ricorda Varoufakis, Marx and Engels
scrissero: «Lavoratori di tutto il mondo, unitevi!». Non intendevano:
«Lavoratori di tutto il mondo, unite le vostre monete».
Il testo in uscita anche su www.jacobinmag.com