il manifesto 6.9.16
Un continente che attende di essere liberato dal neoliberismo
Risposta a Stefano Fassina
Unione
europea. Una timida democratizzazione e la Lexit dall’Ue sono due
opzioni opposte, ma destinate entrambe alla sconfitta e a rafforzare le
oligarchie economiche e finanziarie
di Yanis Varoufakis
Una
risposta all’articolo di Stefano Fassina pubblicato su questo giornale
il 2 settembre. Il brano che qui presentiamo è tratto da un lungo saggio
scritto da Yanis Varoufakis e che sarà pubblicato in contemporanea
dalla rivista «Jacobin», dal sito spagnolo publico.es, dal quotidiano
francese «Libération» e da quello tedesco «Neues Deutschland».
Nel
giro di pochi mesi, due referendum hanno scosso l’Unione europea e la
stessa sinistra europea: nel luglio 2015 l’Oxi in Grecia, e nel giugno
2016 la Brexit nel Regno unito.
Una parte della sinistra europea,
esasperata dalla miscela di autoritarismo e fallimento economico che
caratterizza l’Ue, propone ora di «rompere con l’Ue»; è la Lexit.
DiEM25, il transnazionale Movimento per la democrazia in Europa, rifiuta
questa logica e offre un’agenda alternativa ai progressisti del
continente.
Il punto non è se la sinistra debba scontrarsi con
l’establishment dell’Ue e le sue politiche abituali. La questione è
invece in quale contesto, e all’interno di quale narrazione politica
comune questo scontro debba svolgersi. Esaminiamo le tre opzioni.
L’euroriformismo
standard, praticato tipicamente dai socialdemocratici, sta perdendo
rapidamente terreno. Si fonda su un errore: l’Unione europea non soffre
di un deficit di democrazia al quale si possa porre rimedio con «un po’
più di democrazia», «più Europa», «riforma delle istituzioni europee»
eccetera.
L’Ue è stata intenzionalmente costruita per tenere il
demos fuori dai processi decisionali affindandoli a un cartello composto
dalle grandi imprese europee e dal settore finanziario.
Nel
quadro dell’attuale regime e delle attuali istituzioni dell’Ue, «più
Europa» e riforme graduali equivarrebbero alla formalizzazione e
legittimazione dell’Unione dell’austerità europea secondo le linee del
Piano Schäuble. Questo acuirebbe la crisi che colpisce i cittadini
europei più deboli, renderebbe più attraente la destra xenofobica e in
ogni caso accelererebbe la disintegrazione europea.
Un’opzione
evocata, fra gli altri, da Tariq Ali: per sconfiggere la misantropia
della destra xenofobica dovremmo far nostra la sua proposta di
referendum nazionali per l’uscita dall’Ue.
Ma è realistico pensare
che, proponendo dei referendum per l’uscita dall’Ue, la sinistra possa
«bloccare le forze della destra xenofoba e nazionalista guadagnando
l’egemonia e ridirezionando la rivolta popolare?» E questa campagna è
coerente con i principi fondamentali della sinistra? DiEM25 risponde con
due no, e per questa ragione rifiuta l’opzione Lexit.
La necessaria disobbedienza
La
posizione che avremmo potuto assumere prima dell’entrata in vigore del
mercato comune e dell’Eurozona non può essere la stessa di adesso, in
presenza di queste istituzioni. Fa infatti una bella differenza il fatto
che il nostro punto di partenza è un’Europa senza frontiere (nella
quale i lavoratori europei hanno libertà di movimento) rispetto a
un’Europa come quella dei primi anni 1950, quando gli Stati nazionali
controllavano le frontiere e poterono creare una nuova categoria di
proletari italiani o greci chiamati gastarbeiters, cioè lavoratori
ospiti.
La Lexit pone seri pericoli. I sostenitori della Lexit
pensano davvero che oggi la sinistra possa vincere la battaglia per
l’egemonia contro la destra xenofobica appoggiando le richieste di
quest’ultima circa la costruzione di nuove barriere e la fine della
libertà di movimento? E allo stesso modo, pensano davvero che la
sinistra vincerà la guerra delle idee e della politica contro
l’industria dei combustibili fossili sostenendo la rinazionalizzazione
della politica ambientale?
Sotto la bandiera della Lexit, a mio giudizio, la sinistra subirà gigantesche sconfitte su entrambi i fronti.
DiEM25
propone un movimento paneuropeo di disobbedienza civile e governativa
con l’obiettivo di consolidare un’opposizione democratica alle scelte
delle élites europee a livello locale, nazionale e di Ue.
Come
DiEM25 non crediamo che l’Unione europea si possa riformare con i canali
abituali della politica europea. La nostra controproposta è uno scontro
con l’establishment europeo sulla base di una campagna di disobbedienza
alle «leggi» dell’Ue a livello locale, regionale e nazionale, senza
però pensare all’uscita dall’Unione.
Il popolo inesistente
Se
noi non molliamo, delle due l’una: o molleranno loro (e in questo caso
l’Ue ne risulterà trasformata) oppure l’Ue sarà fatta a pezzi dal suo
stesso establishment. Se l’establishment (Commissione, Banca centrale
europea, Berlino e Parigi) smembrerà l’Ue per punire i governi
progressisti che rifiutano di obbedire alle sue politiche insane, questo
galvanizzerà le politiche progressiste in tutta Europa come la Lexit
non potrebbe mai fare.
La posizione del DiEm25 sull’Ue riflette il
tradizionale internazionalismo della sinistra, che è una componente
essenziale di DiEM25.
DiEM25 propone una ribellione che porti a
una democrazia autentica a livello dei governi locali e nazionali e
dell’Ue. Non diamo priorità all’Ue rispetto al livello nazionale, né a
quest’ultimo rispetto al livello regionale e locale.
In un recente
intervento Stefano Fassina sostiene (citando Ralf Dahrendorf) che la
democrazia a livello di Ue «non è possibile… perché un popolo europeo,
un demos europeo per una democrazia europea, non esiste». Continua
Fassina: «Fra gli idealisti e gli euro-fanatici, alcuni continuano a
pensare che l’Unione europea si possa trasformare in una sorta di Stato
nazionale, solo più grande: gli Stati uniti d’Europa.»
Questa
obiezione di sinistra all’appello di DiEM25 per un movimento paneuropeo è
interessante e stimolante. Sostiene che la democrazia è impossibile a
livello sovranazionale perché un demos deve essere caratterizzato da
un’omogeneità nazionale e culturale. Marx non sarebbe affatto d’accordo!
E posso immaginare lo stupore degli internazionalisti di sinistra, i
quali hanno sognato e combattuto per una repubblica transnazionale
dall’Atlantico all’Oriente.
La sinistra ha sempre sostenuto che
l’identità è qualcosa che si crea con la lotta politica (di classe,
contro il patriarcato, contro gli stereotipi, per l’emancipazione
dall’Impero ecc.).
DiEM25, proponendo una campagna paneuropea di
disobbedienza alle élites transnazionali, per creare un demos europeo
che realizzi una democrazia europea, è in sintonia con l’approccio
tradizionale della sinistra: proprio quell’approccio criticato da
Fassina e dagli altri che sostengono il ritorno alla politica basata su
una nazione/un parlamento/una sovranità , riducendo l’internazionalismo
alla «cooperazione» fra gli Stati nazionali europei.
Un’agenda paneuropea
Per
sostenere la priorità che accorda al livello nazionale, Fassina evoca
Antonio Gramsci e la sua «categoria nazionale-popolare», allora
sviluppata per dare radici popolari e capacità egemonica al Partito
comunista italiano. Gramsci voleva in realtà spiegare che per progredire
a livello internazionale occorreva un movimento progressista a livello
locale e nazionale. Non era nelle sue intenzioni privilegiare il livello
nazionale rispetto a quello transnazionale e sostenere che le
istituzioni democratiche transnazionali fossero indifendibili e/o
indesiderabili.
Nello stesso spirito gramsciano, DiEM25 insiste
sul fatto che la nostra ribellione europea dovrebbe avvenire a ogni
livello: città, regioni, capitali nazionali e Bruxelles, a parità di
priorità. Solo una rete paneuropea di città ribelli, prefetture ribelli,
governi ribelli, un movimento progressista può diventare egemone in
Italia, Grecia, Regno unito, ovunque.
Qualcuno potrebbe chiedere:
«Perché allora fermarsi al livello dell’Ue? In quanto internazionalisti,
perché non militate per una democrazia su scala planetaria?» La nostra
risposta è che lo facciamo. Abbiamo forti legami con la «rivoluzione
politica» di Bernie Sanders negli Stati uniti e con militanti nei vari
continenti. Ma dal momento che la storia bene o male ha partorito
un’Europa senza frontiere, con politiche comuni in campo ambientale e in
vari altri campi, la sinistra (per definizione internazionalista) deve
difendere quest’assenza di frontiere.
E dunque: che fare?
DiEM25
respinge la campagna eurolealista per riformare l’Ue lavorando nel
contesto dell’establishment, ma anche la posizione della Lexit che
assume la disintegrazione dell’Ue come obiettivo. DiEM25 è nato per
creare una vera alternativa: un movimento senza frontiere in tutta
Europa (Ue e non Ue) basato su un’alleanza di democratici appartenenti a
varie tradizioni (di sinistra e non solo) e a tutti i livelli
dell’impegno politico (paesi, città, regioni, Stati).
A chi
definisce utopistico il nostro movimento per una democrazia paneuropea,
rispondiamo che si tratta di un obiettivo legittimo e realistico per il
lungo periodo.
Non possiamo sapere se l’Ue si democratizzerà o si
dissolverà. Lottiamo per la prima eventualità preparandoci comunque ad
affrontare la seconda.
L’Agenda europea di DiEM25 propone una
campagna unificante grazie alla quale un’Internazionale progressista
europea possa contrastare l’Internazionale nazionalista che è in
continua crescita.
Lanciare e sviluppare una grande campagna
internazionalista in tutta Europa per un’Unione democratica significa
che l’Ue non possa e non debba sopravvivere nella sua forma attuale.
Una
campagna che ha come coordinate la denuncia dell’incompetenza
dell’establishment autoritario dell’Ue; il coordinamento della
disobbedienza civile, civica e governativa in tutta Europa. Illustrare
con la struttura stessa di DiEM25 come una democrazia paneuropea possa
lavorare a tutti i livelli e in tutti gli ambiti
Tutto questo mira
alla elaborazione di un’agenda europea omnicomprensiva con proposte
intelligenti, modeste e convincenti per «aggiustare» l’Ue (e anche
l’euro) e al tempo stesso per gestire progressivamente la
disintegrazione dell’Ue e dell’euro, se e quando l’establishment la
provocherà.
L’autore è l’ex ministro delle finanze greco del primo
governo di Syriza. Il brano che qui presentiamo è tratto da un lungo
saggio scritto da Yanis Varoufakis e che sarà pubblicato in
contemporanea dalla rivista «Jacobin», dal sito spagnolo publico.es, dal
quotidiano francese «Libération» e da quello tedesco «Neues
Deutschland».