il manifesto 6.9.16
D’Alema per il no e per il dopo
Referendum.
«Si può segnare la fine del partito della Nazione». L’ex premier
ritrova la folla. Sfida a Renzi su Italicum e riforma. Colpi di fioretto
con le minoranza Pd. Intesa con vecchi avversari. «Apro uno spazio per
altri». Calvi presidente del nuovo comitato Una proposta per far durare
la legislatura
di Andrea Fabozzi
«Come si dice?
Non perdiamoci di vista». Orfini gli ha dato del «girotondino», cioè la
massima offesa per il «professionista della politica», e Massimo D’Alema
si diverte a chiudere il suo comizio del ritorno – un’ora, invece dei
venti minuti annunciati – citando il Nanni Moretti del 2002. Per la
prima uscita nella veste di rappresentante del No, il «leader massimo»
un po’ recita se stesso – «fatto questo torno al mio lavoro, mi sto
occupando del rinnovamento del pensiero della sinistra mondiale» – un
po’ cambia verso anche lui, mostrandosi spietato critico delle riforme
costituzionali tentate o riuscite vent’anni fa, sotto la sua regia:
premierato forte e titolo V.
Massimo D’Alema è quello che mancava
al campo del No, che dalle sempre più evidenti difficoltà di Matteo
Renzi – ieri il presidente del Consiglio girava ancora attorno alla data
in cui «presto» convocherà il referendum – trae ogni giorno motivi di
ottimismo. D’Alema è un cuneo tra i militanti e gli elettori del Pd che
da mesi ascoltano gli ultimatum a vuoto di Bersani e Cuperlo, ancora
incerti tra il Sì e il No. Ma l’appartenenza al partito di cui Renzi è
segretario è anche un po’ il limite dell’iniziativa dalemiana, subito
accusata di frazionismo. D’Alema infatti insiste nel negare ogni
velleità scissionista, allontana da sé ogni tentazione – «non è una
sfida tra me e Renzi» – e «nominando» Guido Calvi alla presidenza del
comitato nazionale dice: «Tra i suoi pregi c’è quello di non essere
iscritto al Pd». D’altra parte, proprio per alimentare la campagna del
No con quella «connessione sentimentale» con il «popolo del
centrosinistra» che Renzi ha «spezzato», D’Alema deve offrire una
prospettiva. E lo fa: «La vittoria del No segnerebbe la fine del partito
della Nazione» e «riaprirebbe il confronto in un campo democratico e
progressista». Dunque «non perdiamoci di vista anche dopo il
referendum».
Il messaggio è chiaro e conquista la platea, numerosa
anche grazie al vecchio trucco della sala troppo piccola. Eppure: «Ne
abbiamo cambiate tre, c’è stato un crescendo di adesioni che abbiamo
sottovalutato». D’Alema presenta l’iniziativa come necessaria per venire
incontro «alle tantissime richieste di dare forma organizzata alle
ragioni del No nel centrosinistra». E «noi» (lui) «non potevamo restare
insensibili a questo grido di dolore»: non è understatement, è la
citazione di un re che annuncia la guerra. E infatti: «Io non ho
promosso nessun duello, il duello lo ha promosso Renzi, io neanche lo
conoscevo». Oppure: «In fondo sono un suo ammiratore, è capace di dire
qualsiasi cosa». Ad esempio sull’Italicum, che D’Alema avversa quanto la
riforma costituzionale. «Con questa legge elettorale ci siamo mangiati
in quattro e quattro otto un secolo e mezzo di cultura democratica,
affidando a un algoritmo la trasformazione dei pochi in molti», spiega.
Promette che aspetterà la Consulta: «Io credo che non se la berrà e
boccerà la legge», prevede. Sa bene che la battaglia ancora prima che
sul Sì e sul No si è spostata lì, davanti ai giudici, e il primo rischio
da evitare è che prevalga la tentazione al rinvio.
Presenti come
osservatori interessati i deputati di Sinistra italiana (D’Attorre porta
un saluto partecipe), alcuni dei parlamentari Pd che hanno annunciato
di votare No al referendum (in qualche caso dopo aver votato sì alla
riforma in parlamento), una delegazione minima di bersaniani. D’Alema
dice di non essere sorpreso dell’assenza di Bersani e Cuperlo – «ci
parliamo». E Cuperlo in una nota, senza mai nominare D’Alema, si rivolge
a Renzi per dire che «c’è una parte della sinistra che al referendum
vuole votare No e anche l’incontro di Roma ne ha offerto un’immagine
chiara. Mai come ora serve ascolto e rispetto». L’avvocato Calvi – «che
rappresenta la sinistra da Valpreda in poi», lo presenta D’Alema –
spiega di aver saputo della nomina appena 24 ore prima. Dovrà
organizzare i comitati locali «con l’aiuto di altre personalità» che
saranno comunicate poi. Dei tanti amministratori locali Pd annunciati,
ieri è intervenuto solo Gabriele Abaterusso, sindaco di Patù (Lecce).
«Noi abbiamo già 500 comitati sul territorio», ricorda Vincenzo Vita in
un breve saluto dal palco: sono quelli del comitato del No di
Zagrebelsky e Pace attivo dal mese di febbraio. D’Alema nelle
conclusioni se ne ricorda: «Collaboreremo». Ma già si prepara a lanciare
la sua proposta di riforma «breve e puntuale», «tre articoli»,
preparata dal costituzionalista Enzo Cheli. Se ne conosce il contenuto:
riduzione dei parlamentari, commissione di conciliazione per ridurre la
navette tra camera e senato, fiducia solo alla camera. D’Alema ci tiene a
mostrarsi propositivo e sa che bisogna anche parlare ai deputati e
senatori: «La vittoria del No è la migliore garanzia che la legislatura
continuerà, bisognerà cambiare la legge elettorale e in diciotto mesi
sarà anche possibile approvare una riforma costituzionale mirata». La
proposta Cheli – «la renderemo pubblica tra dieci giorni» – sarà la base
per un convegno che abbozzerà le prime intese post referendarie.
D’Alema le vuole larghe, com’è giusto che sia per la riforma
costituzionale. Tra i primi ad aderire potrebbero esserci la fondazione
dell’ex ministro Quagliariello Magna Carta e Possibile, il partito di
Pippo Civati che ha lanciato una proposta di revisione costituzionale
(firmata Pasquino, Pertici, Viroli e Zaccaria) assai simile a quella
dalemiana, ma con qualche idea in più. Ripartendo dal fronte del No,
D’Alema ritrova così un bel po’ di vecchi avversari. Sullo sfondo di
questo primo incontro – la sala è quella di un cinema d’essai – c’è la
locandina di un film colombiano: El abrazo de la serpiente.