il manifesto 30.9.16
Renzi a caccia dei voti di destra da sempre, la sinistra ancora si arrabbia
Referendum
costituzionale. Dopo il Ponte sullo Stretto il premier insiste: sarò
maggioranza Il fronte del No: «Una mossa disperata, ha paura della
sconfitta»
di Daniela Preziosi
ROMA Il presidente
del consiglio Matteo Renzi è a caccia dei voti della destra per vincere
il referendum. Lo ha detto ieri in un’intervista al Foglio, lo ha
ripetuto poi in serata a Perugia in un comizio per il Sì. «Ho detto che
il referendum si vince a destra. E per questo voglio prendere i voti
della destra. E un autorevole esponente della minoranza del mio partito
mi ha criticato per questo. Sì è vero: voglio prendere i voti della
destra. E forse per questo lui si chiama minoranza». Ce l’ha con il
bersaniano Roberto Speranza che in mattinata gli aveva replicato: «Non
vorrei che il giorno dopo il referendum, avendo puntato sugli elettori
di destra, ci ritrovassimo tutti iscritti al partito della nazione e il
Pd svuotato di idee ed elettori».
Ma Renzi ha ragione di stupirsi
dello stupore, anzi secondo alcuni della furia, della minoranza. Non è
certo la prima volta che svolge pubblicamente questo ragionamento. E non
solo per ragioni «aritmetiche» come vorrebbe il senatore Andrea
Marcucci, ma per ragioni politiche. Ideologiche si potrebbe dire. Il
tentativo di attirare voti dall’altra parte del campo politico è il
manifesto di Renzi già nel 2012, quand’è ancora sindaco di Firenze e la
leadership del partito per lui è ancora un’ambizione: «Per vincere le
elezioni se non si convince qualche ex elettore di centrodestra va a
finire come sempre, cioè si perde», dice. Di qui in avanti ripeterà più
volte il concetto, in combinato all’auspicio del Partito della Nazione.
Usando per di più la parola «sinistra» come sinonimo di «chi frena il
cambiamento».
Così nel Pd viene sdoganato il concetto che è un
cazzotto in pancia alla minoranza interna. «Accetto i voti della
destra», diceva Roberto Giachetti nella campagna elettorale di Roma
dando il benvenuto agli eventuali voti di Denis Verdini. Nel frattempo
il collega Piero Fassino imbarca ex forzisti ed ex Cl nelle sue file. E
la candidata Valeria Valente mette direttamente in lista gli esponenti
di Ala, peraltro in Campania formata da uomini dell’ex sottosegretario
Cosentino. Com’è andata è noto, tutti e tre sconfitti. Anzi a Milano il
renziano Sala acciuffa la vittoria al ballottaggio solo grazie ai voti
della sinistra e dei radicali.
Se funzioni o meno la caccia ai
voti di destra o se invece non si sia fin qui risolta nella somma zero
(tanti ne guadagna quanti ne perde) sarebbe un’altra storia. Se ne
parlerà dopo il referendum. Per Loredana De Petris (Si) quella di oggi
di Renzi è «una mossa disperata e rivela quanto tema di essere
sconfitto. Ma si illude». Che Renzi ci provi è certo, non da oggi. Prima
di dirlo apertis verbis al Foglio l’aveva lasciato intendere lanciando
l’amo del Ponte sullo Stretto. E facendo circolare fra i suoi il
ritornello della sua riforma simile a quella del Cavaliere. Per
l’elettore di destra «se la scelta diventa votare sul merito vota sì»,
ha detto lui; «La riforma è quello che ha sempre chiesto Berlusconi», ha
spiegato di recente l’ex berlusconiano ministro Galletti. E la
minoranza Pd non lo ha scoperto ieri leggendo quella che Gianni Cuperlo
definisce «una brutta frase».