il manifesto 29.9.16
Voto all’estero, come potremo fidarci?
Maria Elena Boschi e l'ambasciatrice italiana Teresa Castaldo a Buenos Aires
di Massimo Villone
Boschi
si autocelebra in un tour mondiale per il Sì fra gli italiani
all’estero. Fin qui si può forse capire, anche se è bassa cucina
propagandistica. Non si capisce e non si perdona, invece, il supporto
logistico e la presenza ufficiale di un’ambasciata. I pubblici impiegati
– inclusi quelli di altissimo rango come gli ambasciatori – sono al
servizio esclusivo della Nazione (art. 98.1 Cost.). Non del governo o di
singoli ministri. Mezzo paese vuole il No, unitamente a un ampio arco
di forze politiche parlamentari. Dovremmo forse cambiare cittadinanza e
passaporto? E come potremo domani fidarci che il voto sia libero e
uguale, non inquinato come le scorse esperienze di voto all’estero ci
fanno temere? Prepariamo le carte bollate? E poi, ha detto la Boschi
agli esultanti convenuti che la riforma li espelle dal senato, e li
esclude dal ballottaggio per la camera?
Una lunga galleria di spot
ci accompagnerà al voto referendario. È rispuntato persino il ponte
sullo Stretto, che, senza mettere una pietra, ci è già costato – pare –
circa 600 milioni. Equivalenti, secondo le stime dei risparmi fatte
dalla Ragioneria dello Stato, a oltre 12 anni di riforma del senato, che
sopravvive, mentre si abolisce il diritto dei cittadini di votare per i
senatori.
Qualcuno ancora finge di non capire che il no
referendario non viene da chi pretende un insuperabile bicameralismo
paritario, ma da chi rivendica il diritto di scegliere i propri
rappresentanti in parlamento. Il diritto di voto è in democrazia come il
farmaco salvavita nel sistema sanitario: per entrambi non vale il
criterio del massimo risparmio. Ora, per i gravosi impegni del ponte,
riformeremo anche la camera? Potremmo chiuderla del tutto. Sarebbe un
miliardo tondo risparmiato.
Lo spot pubblicitario di Renzi non
reca traccia delle tante polemiche pregresse. A che serve traversare lo
Stretto a grande velocità se prima e dopo si va a passo di lumaca?
Quisquilie. Conta il colpo di teatro, i 100mila posti di lavoro che
fanno il paio con i 500 milioni di euro della riforma costituzionale.
Cifre fantasiose, ma basta l’annuncio. Tanto prima del voto referendario
nulla potrebbe davvero succedere.
Si dice che abbiamo bisogno di
un governo autorevole. Ma tale non è un governo che racconta favole
smentite dai fatti, come per l’uscita dalla crisi o i vantaggi per i
lavoratori derivanti dal Jobs Act, mentre stiamo diventando il paese dei
voucher.
Per spiegare e convincere ci vuole certo autorevolezza.
Ma per rendere la menzogna una verità di stato ci vuole un governo
blindato nelle stanze del potere. Un governo non già autorevole, ma
vestito di autoritarismo, sia pure blando. Una democrazia decidente,
come dicono i sostenitori, tralasciando che si tratta di un decidere
reso possibile da una legge elettorale taroccata e da un governo che
domina il parlamento e spiega una pesante influenza sugli organi di
garanzia. Mentre le voci fuori dal coro sono messe nell’angolo.
Circola
una teoria per cui la perdurante crisi economica mette in crisi la
democrazia come l’abbiamo conosciuta, e ne rende anzi necessario il
superamento. E certo sentiamo scricchiolii preoccupanti. Ma qual è la
risposta? Ridurre la rappresentanza politica attraverso leggi elettorali
capestro, indebolire il parlamento, concentrare il potere
sull’esecutivo e in particolare sul leader al comando? Al fine di
lasciare il futuro al dominio del dio mercato, tagliando diritti
conquistati con il sangue di generazioni ed esaltando le diseguaglianze?
O al contrario puntare sulla più ampia partecipazione, sulla piena
rappresentatività delle assemblee elettive, sulla necessità di ritrovare
la coesione attraverso la politica, il confronto, la mediazione, il
consenso? Con l’obiettivo di recuperare parità nei diritti e protezione
dei più deboli?
l’Italia ha sostanzialmente fin qui seguito la
prima strada, che si vuole ora definitivamente consolidare con le
riforme in campo, costituzionale ed elettorale. Salvare la democrazia
serrandola in catene, e riducendo i cittadini a sudditi. E perché non
eleggendo solo il presidente del consiglio, magari trovandogli una
location – in inglese per Renzi – sul balcone di palazzo Venezia?
Massimo risparmio, esito garantito. Votiamo No, grazie.