il manifesto 29.9.16
Shimon Peres, la retorica della pace
di Zvi Schuldiner
Tutta
Israele si sta preparando a un funerale spettacolare con leader
internazionali a dargli un gran risalto, e a ribadire che la pace è
tanto positiva. Dalla collina di Gerusalemme dove Shimon Peres sarà
sepolto, non si sentono le armi che massacrano i siriani a centinaia di
migliaia – non poche sono state mandate proprio dai leader «pacifisti»
che arriveranno qui – e il concerto di piagnistei, a parole a favore
della pace, sarà guidato dalla battuta del premier Benjamin Netanyahu.
Quest’ultimo già ieri ha commosso tanti con una brillante orazione
funebre in memoria di Peres, elogiando in particolare gli sforzi del
defunto a favore di quella pace così poco agognata dal governo in
carica.
Shimon Peres morto non è il Shimon Peres che la
maggioranza degli israeliani odiava, diffamava, calunniava; Netanyahu –
oggi suo grande ammiratore – è fra i molti che hanno sempre visto in
Peres un nemico detestabile. Volavano pomodori nel 1981, nel confronto
elettorale fra Begin e Peres; il suo stesso accento, che ne tradiva le
origini europee, lo rendeva ancor più odioso agli occhi degli ebrei
orientali; e non lo aiutò nemmeno il suo passato da falco. Peres fu
l’uomo di Ben Gurion nei primi anni dello Stato di Israele; fu
l’architetto del patto con la Francia che portò alla guerra di Suez nel
1956 e alla costruzione della potenza nucleare israeliana. Trattò con
Begin per cercare di defenestrare il premier Eshkol prima della guerra
del 1967, così da far tornare Ben Gurion. Restò fedele al «vecchio»,
anche se molti anni dopo parve schierarsi con la scuola del grande
oppositore di Ben Gurion, Sharet, che esplorò strade verso la pace.
Peres fu ministro della difesa di Rabin nel suo primo mandato
(/1974-1977) e, come ha detto oggi commossa Daniela Weis – una delle
leader più discusse delle colonie israeliane nei territori occupati -,
fu un architetto importante della colonizzazione dei territori. Così, i
già pochi tentativi di Rabin per cercare un cammino verso la pace furono
ostacolati dal suo stesso ministro della difesa.
Come premier,
nel 1984, Peres cercò di promuovere un accordo con il re della
Giordania, vedendovi la migliore soluzione al problema dei Territori. E
varò un piano economico che risolse la grave crisi del paese, ma
significò anche l’inizio di una fase neoliberista che continua ai nostri
giorni.
Nel 1992 Shimon Peres, dopo aver grandemente contribuito
al nuovo apparato di sicurezza israeliano in tutti i settori possibili,
passò alle invenzioni diplomatiche diventando ministro degli esteri. Con
gli accordi di Oslo si convertì in gran rètore della pace, senza per
questo porre un freno alle avventure militari quando, dopo l’assassinio
di Rabin, diventò premier a interim fino alle elezioni che perse di
misura contro Netanyahu nel 1996. Autorizzò azioni dei servizi segreti
che provocarono una escalation del terrore e nel corso di una
tristissima settimana portò avanti un’offensiva in Libano culminata con
il massacro di cento civili a Qana.
Quando diventò un grande
statista di livello internazionale, presidenti, re, premier di governo e
politici di ogni genere ascoltavano avidamente il grande Peres che
elaborava meravigliosi piani per il futuro. Nel frattempo – soprattutto
quando, nel 2005, si unì al partito fondato da Ariel Sharon – egli fu il
più efficace protagonista dell’opera di sbianchettamento della politica
israeliana.
Anche come presidente, alcuni anni dopo, mentre il
premier Netanyahu continuava a mettere in atto una politica disastrosa
che non aveva niente a che vedere con la pace, mentre le forze
israeliane bombardavano Gaza, mentre proseguiva la repressione nei
territori occupati da Israele, sempre c’era Peres, a parlare in segreto
con Obama, con Putin, con Merkel, con tutti, a dire che dietro le quinte
stava maturando un’altra linea, che c’era una strada verso la pace,
verso un Medio Oriente positivo, ottimista e splendido. Solo dieci
giorni fa ha affascinato l’uditorio in Italia con un discorso elaborato e
positivo, assicurando un futuro migliore. Ma il Medio Oriente resta in
fiamme.
Peres era il grande rètore, che aiutava a mantenere una
visione ottimista di mondi possibili, ben lontani dalle azioni reali
della leadership israeliana. Leader come Obama, Merkel, Blair e altri
hanno potuto nascondersi dietro queste cortine di parole vuote, così da
non doversi confrontare con la necessità di una politica vera a favore
della pace.
E le esequie? Sull’onda della frase pronunciata dal
grande premier Netanyahu, tutti piangeranno per la pace e ricorderanno
commossi le grandi capacità retoriche di un leader israeliano molto
problematico, che fu un grande falco e morì da possibile colomba.