il manifesto 29.9.16
Peres, da falco a colomba, a falco
Israele
. L'ex presidente morto martedì notte era considerato in Occidente
l'alfiere della pace in Medio Oriente ma non l'ha mai portata ai
palestinesi
di Michele Giorgio
GERUSALEMME Shimon
Peres ha davvero cercato la pace con palestinesi e arabi o ha venduto
l’illusione della pace. Questo interrogativo potrà apparire ingeneroso
nei riguardi dell’ex presidente israeliano morto martedì notte all’età
di 93 anni, un personaggio politico di fama mondiale, per decenni
acclamato alfiere della pace. Eppure è legittimo. Perché Peres “la pace”
l’ha dispensata in ogni angolo del mondo, spiegata alle conferenze
internazionali, illustrata al Forum di Davos, scritta nei libri,
racchiusa nel Centro di Tel Aviv che porta il suo nome, ma non l’ha mai
realizzata. Certo quell’obiettivo dipendeva anche da altri. Ma anche da
lui quando ha svolto i massimi incarichi istituzionali e politici di
Israele. Aver proposto per 40 anni l’immagine di uomo di pace e del
dialogo mentre il suo Paese costruiva illegamente colonie nei Territori,
teneva sotto occupazione militare milioni di palestinesi, non
rispettava le risoluzioni dell’Onu, veniva condannato per violazioni dei
diritti umani e si appropriava unilateralmente di tutta Gerusalemme,
non può non riproporre il nostro interrogativo: Shimon Peres ha cercato
la pace o parlando di pace ha voluto prima di tutto ingentilire
l’immagine di Israele agli occhi del mondo?
“Colomba” peraltro
Peres lo era diventato solo verso i 50 anni di età dopo essere stato un
“falco”. Nato in Polonia nel 1923, immigrato con la famiglia a Tel Aviv
nel 1934 e cresciuto nei kibbutz, da giovanissimo entrò in contatto con i
massimi leader israeliani tra i quali il “padre della patria” David Ben
Gurion. Ebbe brevi e poco significative esperienze militari ma ciò non
gli impedì di ottenere incarichi di prestigio in questo settore.
Nominato direttore generale del Ministro della Difesa nel 1953, svolse
un ruolo decisivo nell’acquisto di armi e nello sviluppo del programma
nucleare nazionale, grazie alla collaborazione della Francia. E’ stato
di fatto “il padre” della bomba A israeliana e il teorico della
cosiddetta “ambiguità” nucleare: non ammettere e non negare il possesso
di ordigni atomici. Un segreto che ha difeso autorizzando il Mossad nel
1986 a rapire, a Roma, il tecnico nucleare Mordechai Vanunu, che aveva
rivelato alla stampa internazionale le vere produzioni di Dimona. Peres
cominciò a mostrare una predisposizione al negoziato e al compromesso
con nemici e avversari a partire dalla fine anni 70, dopo il Trattato di
Camp David tra Israele e l’Egitto. In precedenza aveva piuttosto
manifestato sostegno alla prima fase della colonizzazione ebraica dei
Territori palestinesi occupati nel 1967, anche allo scopo di mettere in
difficoltà il premier e suo storico rivale nel partito laburista,
Yitzhak Rabin (assassinato nel 1995 da un nazionalista ebreo). Non a
caso è finito poche volte nel mirino il movimento dei coloni israeliani.
Peres
raramente è stato premiato dalle urne a conferma che la sua retorica
pacifista, che tanto affascinava l’Occidente, non era aderente alla
realtà di un elettorato poco favorevole al compromesso territoriale con i
palestinesi, tranne che nei due anni successivi alla firma degli
accordi di Oslo del 1993. E il nome di Peres resterà legato senza alcun
dubbio proprio a quelle intese di cui fu l’artefice con Yitzhak Rabin e
Yasser Arafat e che gli valsero il premio Nobel per la pace nel 1994. La
“Pace di Oslo” fu il palcoscenico principale della sceneggiatura
pacifista dell’ex presidente israeliano. Fu l’illusione collettiva di
una conclusione negoziata del conflitto sulla base del principio “Due
popoli, due Stati”. 23 anni dopo gli accordi di Oslo si sono rivelati
una prigione per i palestinesi e non, come si disse, l’autostrada per lo
Stato di Palestina e il benessere.
Peres non ha esitato a
scegliere la strada della guerra, anche da premio Nobel della pace.
Nella primavera del 1996, nel tentativo (fallito) di sbaragliare
Netanyahu e di conquistare consensi a destra, lanciò una vasta offensiva
militare nel Libano nel sud – ufficialmente in risposta ai lanci di
razzi compiuti dai guerriglieri sciiti di Hezbollah – culminata il 18
aprile nel massacro di Qana, quando fu bombardata per “errore” una base
delle Nazioni Unite in cui si erano rifugiati circa 800 civili. Razzi e
bombe uccisero almeno 102 persone, tra le quali donne e bambini.
Primo
ministro per brevi periodi, Peres è stato soprattutto un ministro degli
esteri di successo, molto stimato all’estero e poco in patria. Nel 2005
appoggiò il ritiro di soldati e coloni israeliani da Gaza e abbandonò
il partito laburista per entrare in “Kadima”, fondato dal premier di
destra Ariel Sharon. Da allora è stato un lento procedere verso
l’irrilevanza politica in un Israele che si spostava sempre più a destra
sotto la guida di Benyamin Netanyahu e a causa dell’ascesa degli
ultranazionalisti religiosi. Tuttavia l’elezione nel 2007 a capo dello
stato ha riconciliato Peres con quella porzione di Israele che non
apprezzava il suo approccio morbido alle questioni di sicurezza e la sua
disponibilità al dialogo con i palestinesi. Lasciata la presidenza nel
2014, Peres ha continuato ad essere attivo in pubblico fino allo scorso
13 settembre, quando è stato colpito dall’emorragia cerebrale che
l’altra notte l’ha portato alla morte.
Per i palestinesi, le
persone comuni più che i leader dell’Autorità Nazionale di Abu Mazen,
Peres sarebbe stato più dannoso della destra israeliana. Il suo
pacifismo, spiegano, ha mascherato il volto intransigente di Israele
senza portare ad alcun risultato per chi da decenni chiede invano
libertà e indipendenza.