il manifesto 29.9.16
In carcere i prigionieri palestinesi muoiono di assenza di cure
Palestina.
Poche ore prima dell’ex presidente Peres, Yasser Hamduna perdeva la
vita dopo dopo due infarti. La famiglia: Ucciso dalle autorità
israeliane. Dal 1967 almeno 208 i detenuti morti dietro le sbarre
di Chiara Cruciati
Pochi
giorni prima la morte di Shimon Peres in un letto dello Sheba Medical
Center, Yasser Thiab Hamduna si spegneva nel carcere israeliano di
Ramon. Attacco di cuore, dice l’autopsia; ucciso dalle mancate cure
mediche in prigione, dice la famiglia. Durante i funerali, migliaia di
persone hanno marciato sventolando bandiere della Palestina e chiedendo
la liberazione di tutti i detenuti politici palestinesi, ad oggi 7mila.
Hamduna
aveva 41 anni e soffriva di cardiomegalia, l’anormale ingrossamento del
cuore. Le autorità carcerarie israeliane erano a conoscenza della
malattia ma non gli hanno fornito alcuna cura. Nel 2015 il primo
infarto, a cui non sono seguite terapie; domenica il secondo infarto,
letale. Non è il solo: secondo la Palestinian Prisoner’s Society,
dall’occupazione militare del 1967 sono almeno 208 i prigionieri
palestinesi morti a causa di negligenza medica da parte di Israele.
Oggi
il numero dei detenuti malati avrebbe superato i mille: tra le
patologie più comuni il cancro e la disabilità dovuta spesso a torture
fisiche e psicologiche. Secondo le organizzazioni per i diritti umani,
l’aumento continuo di prigionieri in precarie condizioni di salute è
dovuto a negligenza medica, sovraffollamento e sporcizia delle celle,
bassi standard igienici e umidità costante. Nel mirino anche la
questione della “doppia fedeltà”, denunciata dai palestinesi: i medici
delle carceri sono fedeli allo Stato di Israele prima che agli obblighi
etici imposti dalla professione.
In alcuni casi ad aggravare le
condizioni di salute, già fragili, nelle carceri israeliane sono gli
scioperi della fame, estrema forma di lotta per chi è detenuto per
motivi politici. Se in passato è stata la modalità di protesta usata in
massa per costringere le autorità israeliane a riconoscere diritti di
base, oggi è per lo più utilizzata individualmente soprattutto dai
detenuti ammnistrativi, in carcere senza processo né accuse ufficiali.
Gli ultimi a passarci sono stati Malik al Qadi e i fratelli Muhammad e
Mahmoud Balboul: rispettivamente dopo 77, 79 e 68 giorni di digiuno
hanno ottenuto da Israele una data di liberazione certa.
Nel
concludere lo sciopero hanno ringraziato gli altri prigionieri che li
hanno sostenuti aderendo allo sciopero e la società fuori che ha
organizzato manifestazioni di solidarietà. Perché dagli anni ’70 il
movimento dei prigionieri è considerato uno dei pilastri della lotta per
la liberazione: «I prigionieri hanno sempre svolto il ruolo di
accensione delle proteste e di coesione – spiega al manifesto Murad
Jadallah, ex prigioniero e per anni ricercatore di Addameer,
associazione per la tutela dei prigionieri politici – Il movimento dei
detenuti ha sempre mobilitato la società. Per questo ne ha paura non
solo Israele, ma anche l’Autorità Palestinese: i sit-in in sostegno ai
prigionieri sono stati aggrediti dalla polizia, alcuni manifestanti
picchiati. Il governo di Ramallah teme che siano ancora una volta la
spinta ad una vera rivolta della base».