il manifesto 27.9.16
Giù la crescita, su il deficit. Il Def spera nell’Europa
Manovra. Padoan ha limato i numeri, oggi il varo. Poi l’esame di Bruxelles
di Mario Pierro
La
ripresa «a passo moderato e stabile» – così ieri il presidente della
Bce Mario Draghi l’ha definita all’Europarlamento – costringerà oggi il
governo Renzi a fissarla allo 0,8-0,9% sul Pil, anche se il ministro
dell’economia Padoan si è detto «fiducioso» di raggiungere l’1%. Il
ballo del decimale a cui più del solito si è dedicato l’esecutivo nelle
ultime settimane potrebbe terminare oggi quando il consiglio dei
ministri dovrebbe – il condizionale è d’obbligo – aggiornare la nota del
Documento di economia e finanza.
In soli sei mesi il governo ha
sbagliato le previsioni: la crescita doveva essere all’1,2% ed è
realmente allo 0,7%, come attestato di recente dall’Istat. La ricaduta
sul deficit dovrebbe essere attutita dalla revisione operata dall’Istat
per il 2014: da 0,3 a +0,1%. Nel bisbiglìo interminabile di
anticipazioni e ritrattazioni questo margine contabile dovrebbe
permettere al governo di giocare sui decimali del deficit: previsto
inizialmente all’1,8%, e concordato con Bruxelles, dovrebbe schizzare al
2,4% del Pil. La revisione dei decimali dovrebbe invece fermarlo al
2,1%.
Non è un dettaglio: il governo spera di liberare tra i 7 e
gli 8 miliardi di euro che aveva previsto a maggio e che ora non ci sono
più. Proprio a causa della crescita insoddisfacente. Quello che sembra
essere certo è che non arriverà alcuna flessibilità. Proprio quella di
cui il governo ha straparlato per mesi per poi, nelle ultime settimane,
farla passare in secondo piano. I messaggi non equivocabili del
principale alleato di Renzi a Bruxelles, Juncker, sono stati alla fine
recepiti: la commissione è la guardiana del «patto di stabilità» e non
di «flessibilità». Resterà, ancora per poco, misteriosa l’entità della
cifra extra stabilità per coprire le spese post-terremoto e avviare il
promesso progetto «Casa Italia» per la messa in sicurezza anti-sismica
del territorio: quattro miliardi. Sempre da precisare l’importo
contabile delle spese extra per l’accoglienza dei migranti: stando ai
“si dice” 3,3 miliardi (0,2% di Pil). Il totale fa 7-8 miliardi, lo 0,4%
di Pil.
Il tasto dolente resta il debito pubblico, ancora in
crescita, e quello della pubblica amministrazione. Uno degli effetti
della crescita indolente è l’aumento di quest’ultimo. Il rialzo del
deficit avrà un impatto sull’indebitamento strutturale, l’Italia rischia
l’apertura di una procedura di infrazione. Nel 2016 il deficit
strutturale doveva essere dell’1,2% per calare all’1,1% nel 2017 e
portare al pareggio nel 2019. Uno sforzo che la Commissione aveva già a
maggio giudicato insufficiente. Oggi i valori sono evidentemente più
alti.
La coperta è stretta per coprire le spese già messe in
preventivo. Oltre allo sminamento delle clausole di salvaguardia
provocato dall’aumento dell’Iva (15 miliardi), c’è il capitolo pensioni.
Domani il governo incontrerà Cgil Cisl e Uil con il ministro del lavoro
Poletti e il sottosegretario Nannicini. Sul tavolo ci sono i 2 miliardi
per il “pacchetto pensioni”: per i sindacati sarebbero necessari 2,5
miliardi. Dal governo è giunta la conferma di un allargamento della
platea per l’Ape social: dall’anticipo pensionistico dovrebbero essere
esentati disoccupati di lunga durata senza ammortizzatori sociali e
lavoratori con disabili in famiglia. Questi over 63 non dovranno
ricorrere all’indebitamento con le banche per andare in pensione fino a 3
anni e sette mesi prima. Nemmeno questa formula convince la Cgil che
fino ad oggi è stato l’unico sindacato a mostrarsi critico. Lo strumento
è finanziario, non previdenziale. Oltre ai 600-700 milioni per l’Ape,
previsti 6-800 per estendere la quattordicesima; 250 per la no tax area;
100 per le ricongiunzioni non onerose, e il resto per affrontare il
problema dei lavoratori precoci. Cifre che hanno fatto arretrare Poletti
e che spingono allo scetticismo Corso Italia.
Poi c’è il capitolo
contratto degli statali. Oggi è in programma una riunione degli
esecutivi unitari di categoria di Cgil, Cisl e Uil in attesa
dell’apertura della trattativa con il governo. In questo caso si parla
di risorse tra i 500 e i 700 milioni di euro che dovrebbero essere
stanziate per il 2017. La ministra della Salute Lorenzin ha nel
frattempo smentito l’aumento del ticket da 60 milioni circa prospettato
nei giorni scorsi dalla Cgil. Lorenzin ha tuttavia precisato che «nei
Lea ci saranno più di 800 milioni di nuove prestazioni sanitarie che
sono pagate per intero dai cittadini. È evidente che un loro aumento
comporta una compartecipazione, come avviene per tutte le altre
prestazioni».