il manifesto 27.9.16
Voto tra oltre due mesi. Regole tra tre settimane
Referendum.
Il Consiglio dei ministri di ieri ha scelto la data più lontana tra
quelle a sua disposizione. Il confronto tra Sì e No si terrà il 4
dicembre. Nel frattempo la campagna elettorale va avanti, senza par
condicio. Il governo sceglie di far coincidere le urne con il
ballottaggio presidenziale in Austria. Un’altra occasione di propaganda
di Andrea Fabozzi
Il
più lontano possibile. Il referendum costituzionale si terrà domenica 4
dicembre, l’ultima data a disposizione del Consiglio dei ministri di
ieri. Sarà un decreto del presidente della Repubblica a convocare
formalmente il referendum, che si tiene perché la legge ri revisione
costituzionale Renzi-Boschi è stata approvata dal senato e dalla camera
con il voto favorevole di meno dei due terzi dei componenti. Tocca
dunque agli elettori confermare o far cadere la riforma alla quale Renzi
ha legato il destino suo e del governo (anche se ultimamente ha fatto
più di un passo indietro). La legge sulla par condicio nell’informazione
radio-tv scatterà solo all’apertura ufficiale dei comizi elettorali, il
20 ottobre.
Intorno a quella data – la scadenza prevista dalla
legge è il 15 ottobre, ma negli anni precedenti il governo ha sempre
ritardato – palazzo Chigi trasmetterà alla camera dei deputati la legge
di Stabilità. E lì si potrà vedere quali e quante misure Renzi sarà
riuscito a infilare nella manovra per cercare di risalire nei sondaggi.
Che al momento non sono buoni e hanno ispirato al presidente del
Consiglio il rovesciamento della sua strategia. Prima l’annuncio di
voler votare «il prima possibile», «a naso il 2 ottobre», poi la scelta
di rinviare al massimo. La giustificazione ufficiale è che bisogna
mettere in sicurezza la manovra finanziaria, e dunque farla approvare
almeno da un ramo del parlamento – la camera – prima che l’eventuale
vittoria del No travolga tutto. Ma la giustificazione non regge più,
anche a voler adottare il punto di vista della comunicazione di palazzo
Chigi. Visto che adesso si spiega che non ci sarà alcuna ricaduta sulla
legislatura, anche nel caso di sconfitta del Sì.
Secondo quanto
previsto dalla legge sul referendum, il Consiglio dei ministri si
sarebbe potuto riunire per fissare la data del voto già dall’8 di
agosto, e in quel caso si sarebbe potuto votare anche ai primi di
ottobre. Fissando il referendum il 4 dicembre, invece, Renzi non si è
solo garantito la possibilità di utilizzare la legge di stabilità a fini
propagandistici. Si è anche regalato tre settimane abbondanti di
campagna elettorale senza regole (la par condicio entra in vigore il
45esimo giorno prima del voto). Evidentemente ha intenzione di
sfruttarle fino in fondo e già dopodomani partirà per un giro di comizi,
naturalmente da Firenze.
Per il voto a dicembre non ci sono
precedenti in Italia, considerando ogni genere di elezione (politiche,
amministrative, europee) o referendum, con l’unica eccezione del turno
di ballottaggio in qualche grande comune nel ’93 e ’94. Il rischio
consapevolmente corso dal governo è che molti elettori restino lontani
dai seggi. Nei due unici precedenti di referendum costituzionale, che
non prevede quorum di validità, l’affluenza si era fermata al 34% nel
2001, quando per confermare la riforma del Titolo V si votò in un solo
giorno di inizio ottobre. Mentre aveva superato il 52% nel 2005, quando
si votò in due giorni di giugno e risultò bocciata la riforma di
Berlusconi e Bossi. In questo momento tutti i sondaggi danno il Sì e il
No sostanzialmente appaiati, a fronte però di una grande massa di
indecisi.
Il 4 dicembre si voterà anche in Austria, per il
ballottaggio presidenziale più volte rimandato. A palazzo Chigi non deve
essere dispiaciuta l’idea di far coincidere il referendum con
quell’appuntamento già sotto i riflettori dell’Europa, perché tra i due
candidati c’è un esponente dell’ultradestra nazionalista e antieuropeo.
Da tempo infatti Renzi incoraggia l’impressione che la vittoria del No
allontani il nostro paese dall’Europa. Dichiarazioni di sostegno al Sì
da parte dei leader dei paesi alleati ne abbiamo già viste e altre ne
vedremo.
Quanto al «merito» il presidente del Consiglio si ferma
ancora e soltanto al titolo della sua riforma. Che sarà il testo
stampato sulla scheda, in modo da risultare ingannevole per l’elettore.
«Vogliamo superare il bicameralismo paritario sì o no?», chiede Renzi
attraverso la sua enews diffusa un minuto dopo la conclusione del
Consiglio dei ministri di ieri. E ancora: «Vogliamo ridurre il numero
dei parlamentari si o no? Vogliamo contenere i costi delle istituzioni
si o no? Vogliamo cancellare il Cnel si o no? Vogliamo cambiare i
rapporti stato regioni che tanti conflitti di competenza hanno causato
in questi 15 anni si o no?». La cancellazione del Cnel è inoppugnabile,
quanto al resto la riduzione dei parlamentari è molto parziale, la
riduzione dei costi solo immaginata, i rapporti stato regioni destinati a
restare confusi. Malgrado una vigorosa sterzata centralista.