il manifesto 27.9.16
Sanchez chiede primarie e congresso
Spagna. È arrivata ormai allo scoperto la guerra interna al Psoe dopo le deludenti elezioni in Galizia e Euskadi
di Luca Tancredi Barone
BARCELLONA
Nel partito socialista è ormai guerra aperta. Dopo i catastrofici
risultati nelle elezioni in Galizia e Euskadi di domenica, il partito
socialista è pronto ad affrontare a carte scoperte la guerra che covava
nel suo seno da almeno 9 mesi. Il segretario ha lanciato la bomba
atomica ieri dopo quattro ore di riunione con i suoi fedelissimi, la
cosiddetta «esecutiva permanente», una versione ridotta del Comitato
federale, che invece si celebrerà sabato e dove scorrerà «sangue» a
fiotti.
I socialisti domenica hanno ottenuto i peggiori risultati
di sempre sia in Galizia, dove sono terzi con il 18% dei voti (perdendo
40 mila voti e 2 punti percentuali), che in Euskadi, dove sono
addirittura quarti, con 12% (perdono 90mila voti e ben 7 punti). Ma la
notizia peggiore è che in Galizia il Pp è riuscito a mantenere la
maggioranza assoluta: ormai è l’unica comunità autonoma dove un unico
partito controlla la Camera.
In Euskadi si rafforzano i
nazionalisti moderati del Pnv, già al governo (finora con l’appoggio
socialista). Podemos e alleati vanno bene ma non sfondano: in Galizia,
En marea è seconda in voti (in seggi ne ha quanti i socialisti) e in
Euskadi Podemos è terzo, dopo Eh-Bildu, il partito vicino alla sinistra
abertzale (ex braccio politico dell’Eta), guidato dall’ex terrorista
Arnaldo Otegi.
Ciudadanos non è entrato in nessuno dei due parlamenti autonomi.
Da
un lato, quindi, i risultati non cambiano sostanzialmente nessun
equilibrio a livello nazionale, fanno gongolare i popolari, ma in
compenso fanno saltare in aria i socialisti. I numerosi nemici di Pedro
Sánchez (soprattutto le federazioni di Andalusia, Estremadura, Castiglia
La Mancia) domenica sera erano già pronti a saltare alla giugulare del
segretario e di ogni sua velleità di formare un governo (necessariamente
passando per qualche accordo con Podemos).
Ma Sánchez li ha
anticipati: per il 23 ottobre – giusto in tempo, prima che l’1 novembre
scada il tempo per la convocazione di terze elezioni in mancanza di un
governo – vuole convocare le primarie fra i militanti socialisti per la
scelta del prossimo segretario del partito, e un congresso a dicembre:
cioè in piena campagna elettorale, se si celebrassero le terze elezioni.
La mossa ha spiazzato i nemici del segretario, che infatti si sono
affrettati a dire di non averne mai chiesto le dimissioni (ma invece
«una profonda riflessione politica» di fronte a un «crollo elettorale
immenso»).
Mai i socialisti erano stati così espliciti sulla faida
interna che li sta dilaniando. «È evidente che ci sono dirigenti che
non la pensano come me, che credono che dobbiamo astenerci per fare
presidente Rajoy e che non dobbiamo neppure proporci la possibilità di
governare con 85 deputati», cioè esattamente la posizione della
presidente andalusa Susana Díaz, la principale oppositrice interna. «È
necessario che il Psoe torni ad essere un’organizzazione unita e se c’è
chi pensa di avere un progetto migliore che si faccia avanti e lo
difenda. Se vincono, sarò la prima persona che si congratulerà con
loro». Una dichiarazione di guerra in piena regola.
E in effetti
Sánchez ha avuto il grande merito della coerenza: pur avendo dato la
colpa del fallimento dei negoziati per la formazione del governo, a
gennaio, a Podemos – quando nel migliore dei casi era una colpa
condivisa – contro vento e marea, ha difeso la posizione mantenuta coi
militanti fin dal primo momento: No a Rajoy a qualsiasi costo.
Se
perde questa battaglia interna cadrà in piedi, e per i militanti, che
l’hanno sempre appoggiato, sarà vittima di manovre di partito. Vedremo
se il 23 ottobre, ispirato da Jeremy Corbyn in Inghilterra, Sánchez la
spunterà di nuovo contro il polveroso apparato socialista. In ogni caso
la decisione definitiva sia sulle primarie, sia sul congresso, la
prenderà il Comitato federale sabato prossimo. E i nemici di Sánchez
stanno già affilando le armi per ottenerne la testa.
Podemos
intanto ha iniziato alcune manovre di attacco ai nemici del segretario
socialista. Hanno ufficialmente ritirato l’appoggio esterno ai
presidenti socialisti della Castiglia-La Mancia e dell’Estremadura, due
fra i nemici più espliciti di Sánchez. Il Pp si è già fatto avanti per
sostituire i viola. Vedremo se Podemos farà mancare l’appoggio in altri
feudi socialisti anti-Sanchez Ma la guerra è appena cominciata.