il manifesto 24.9.16
Miguel Benasayag e il cervello colonizzato dal silicio
Intervista. Parla il filosofo e psicoanalista argentino, ospite a «Next», il salone europeo della ricerca
di Riccardo Mazzeo
La
 psicoanalisi deve rinunciare alle sue pretese di scientificità se vuol 
cogliere le tendenze profonde nella realtà sociale e quanto esse si 
riflettano sulla dimensione individuale. Miguel Benasayag sostiene 
questo cambiamento di prospettiva da molti anni. Non nega cioè che la 
psicoanalisi possa aiutare uomini e donne in forte sofferenza psichica. 
Più realisticamente, invita a mettere in relazione una tecnica di 
intervento psicoanalitico a quanto si muove nella società. Usa un 
lessico mutuato dalla filosofia francese – l’«essere in situazione» di 
Jean-Paul Sartre, ma anche il Michel Foucault di Storia della follia – 
da molti anni. È questo il filo rosso che unisce saggi molti diversi tra
 loro, da L’epoca delle passioni tristi a Oltre le passioni tristi a La 
salute a ogni costo (i primi libri due pubblicati da Feltrinelli, il 
terzo da Vita e Pensiero).
È un punto di vista maturato 
all’interno del suo lavoro di «operatore sociale e psicoanalitico» che 
svolge in Francia seguendo giovani «a rischio», «ammalati di lavoro», 
«depressi sociali», ma che assume un «sapore» diverso se applicato al 
ruolo delle tecnologie digitali nella percezione della realtà, come 
testimonia il dialogo su Il cervello aumentato, l’uomo diminuito 
(Erickson). Nel confronto vis-à-vis con la rete, Benasayag sostiene che 
l’uso immersivo del computer sta amplificando alcune funzioni cognitive 
del cervello, a scapito tuttavia di quella caratteristica specifica 
dell’animale umano che è la socialità e la «naturale» attitudine a 
costruire relazioni con i suoi simili attraverso il linguaggio. Sono 
questi i temi del suo intervento all’iniziativa «Next. Umano post-umano»
 in corso a Trieste da ieri (Miguel Bensayag parlerà oggi). L’intervista
 è avvenuta prima dell’inizio della manifestazione triestina.
Nella
 prefazione al libro «Il cervello aumentato, l’uomo diminuito», si 
legge: «Forse la nostra capacità di accettare i limiti umani si è andata
 a nascondere in una piega della Storia e riaffiorerà in un momento più 
propizio, forse bisogna solo aspettare che il pendolo temerariamente 
sospinto in una corsa folle verso l’attuale estremo di egocentrismo 
assetato di trasparenza e di immortalità, giunto al suo approdo, 
rioscillerà tornando a una dimensione che abbandoni il farnetico del 
trans e del post (transumanismo, postumanismo…) per rientrare nell’alveo
 dell’umano».
Siamo uomini e le donne della crisi, della fine di 
un mondo, ma dipende da noi fare in modo che ciò non accada. Il mondo 
che finisce, quello che Foucault chiamava l’epoca dell’uomo, è stato 
segnato dall’esilio dell’uomo dal mondo e dal suo ecosistema. Si è 
costruita questa finzione in cui noi eravamo il soggetto di un luogo 
disincantato che costituiva il nostro oggetto. Era stata dichiarata 
guerra alla natura, e si doveva vincerla. Ogni costrizione sarebbe 
dovuta sparire con la promessa che l’uomo, divenuto il proprio profeta e
 il proprio messia, aveva fatto a se stesso.
La «guerra», come in 
fondo ciascuna guerra, non ha avuto che vinti, e siamo qui per dire che 
forse è il momento di finirla con l’esilio, che è il momento di 
ritornare a essere vivi fra i vivi, come scriveva Prigogine, che è tempo
 di creare una «nuova alleanza». L’umanesimo, che sembra così bello 
visto dall’Occidente, è stato il nome del colonialismo. Bartolomeo de 
Las Casas spiegava che anche gli indiani erano umani, di un’umanità però
 ancora non realizzata. Realizzare l’umanità è stato il compito del 
colonialismo, dell’addestramento delle vite dal razzismo fino all’epoca 
del capitalismo.
La crisi di quel mondo ci lascia la constatazione
 dura e amara del fatto che ogni guerra contro la natura è né più né 
meno che un suicidio. In quel momento si sarebbe creduto, un po’ 
ingenuamente, che la piccola umanità si fermasse un momento per 
riflettere, per valutare, per fare amicizia con il suo mondo della vita,
 vivi tra vivi. Contrariamente a quanto credeva Platone, l’uomo è un 
essere che affonda le sue radici nella terra, fra le altre creature a 
loro volta territorializzate.
E invece no: nel momento della crisi
 del modello della dominazione, le cose sono andate diversamente, alla 
crisi dell’impotenza e alla minaccia ha fatto eco un incontro davvero 
catastrofico, alla nostra umanità che affondava nella disperazione è 
giunta una nuova promessa, una nuova tentazione di vincere la natura, di
 schiacciare qualunque costrizione. Come la colomba di cui parlava Kant,
 la quale credeva di poter volare molto meglio se avesse eliminato la 
resistenza dell’aria.
Nell’«Epoca delle passioni tristi» ha reso 
evidente il fatto che il dilagare di malattie psichiche non riguardi 
tanto le singole persone quanto piuttosto la società per la deriva in 
cui è incorsa. Una posizione vicina a quella espressa di Zygmunt Bauman 
ne «Retrotopia», un volume in uscita Polity Retrotopia. Che cosa 
suggerisce come via, magari molteplice, d’uscita da questo cul de sac?
I
 nostri contemporanei sono lanciati in questa nuova avventura di 
eliminazione di qualunque limite, di qualunque costrizione, di qualunque
 regolazione organica, e credono che senza regolazioni, senza limiti, la
 libertà totale ci sia, più che promessa, dovuta.
Ma nella loro 
fascinazione e nella loro stupidità i nostri contemporanei ignorano 
appunto la differenza che faceva Kant fra limiti e confini: se i confini
 possono essere aboliti, i limiti, che possono cambiare, sono la 
condizione stessa della vita; senza limiti non c’è vita.
Se tutto è
 possibile, se il mondo post-organico su cui delirano ricercatori e 
banchieri è possibile, lo sarà sotto il segno della morte e della 
tristezza.
Meeting a Trieste
Il confine tra l’«umano e il post-umano
«Umano
 Post-umano» è il tema di Next, il salone europeo della ricerca 
organizzato dal comune di Trieste, l’università, la Regione Friuli 
Venezia Giulia, l’Area Science Park e la Scuola Internazionale di Studi 
avanzati. Con oltre 100 appuntamenti, l’iniziativa vuole esplorare il 
ruolo delle tecnologia e della robotica nella realtà contemporanea. 
Dall’«Etica della robotica» allo sviluppo dei Big Data, filosofi, 
ricercatori e psicoanalisti affronteranno i temi che si sono imposti con
 la diffusione della Rete e la progressiva automazione del lavoro 
manuale e intelelttuale. Durante Next, sarà presentato in anteprima del 
volume «Macchine intelligenti» di John E. III Kelly (Egea edizioni).
 
