il manifesto 24.9.16
Momentum magico per Corbyn. La sua leadership verso il bis
Regno
 unito. Si apre oggi a Liverpool il congresso annuale del Labour. 
Blindato a sinistra. I tentativi di sgambetto dei deputati blairiani 
sono falliti. E il rivale Owen Smith ha scarse chance di batterlo
di Leonardo Clausi
LONDRA
 Il congresso annuale del Partito laburista, che si apre oggi a 
Liverpool, dovrebbe confermare quello che ci si aspetta ormai da mesi: 
il secondo avvento di Jeremy Corbyn, il leader eletto a furor d’iscritti
 e clamorosamente sfiduciato da una consistente fetta di deputati subito
 dopo la deflagrazione Brexit. Le aspettative sono che rivinca la 
leadership almeno con lo stesso margine di un anno fa. Per il suo 
rivale, l’ex-Pr della Pfizer Owen Smith, esponente parvenu della 
cosiddetta «soft-left» gettato nella mischia dal largo fronte 
costituitosi tra i tecnocrati centristi contro il segretario dopo il 
ritiro della candidatura di Angela Eagle, le chance di farcela paiono 
esili. E se il suo Cv candeggiato (non votò a favore dell’invasione 
dell’Iraq, a differenza di Eagle, perché all’epoca non era ancora 
deputato) non gli basterà, è anche per via di una serie di uscite a dir 
poco imbarazzanti durante la campagna.
La prima venuta di Corbyn, 
esattamente un anno fa, aveva mandato precipitosamente in frantumi il 
drôle de guerre che si era stabilito nei laburisti fra la maggioranza 
parlamentare, managerial-tecnocratica e d’ispirazione blairista, e la 
base degli iscritti. Ma l’ammutinamento tremebondo dei deputati contro 
il neoleader, scatenato dal panico post-Brexit, sortì un effetto opposto
 a quello sperato, facendo crescere un muro di circa 600.000 tessere 
proprio attorno alla figura di Corbyn, irriducibile garante della 
sopravvivenza dell’identità socialista del partito (attualmente il più 
grande d’Europa).
Da lì è partita una serie di tentativi 
sgangherati di sgambettare la leadership, culminati nel putsch fallito e
 nel tentativo di arginare il flusso di preferenze pro-Corbyn con 
l’alterazione del meccanismo elettivo da parte del comitato esecutivo 
nazionale del partito, il Nec, che in una tempestosa riunione lo scorso 
13 luglio aveva introdotto un limite cronologico, il 12 gennaio, 
all’eleggibilità al voto. Impedendolo così ai 130.000 neo-membri accorsi
 a iscriversi subito dopo la sfiducia al segretario. L’estate appena 
conclusa ha visto la macchina elettorale di Momentum, il movimento nato 
per dare voce a questo bisogno di sinistra reale in una compagine 
monopolizzata dal centro liberal-liberista, funzionare a pieno regime 
tra media social e tradizionali: 52 eventi con Corbyn protagonista, 82 
milioni di tweet, mezzo milione tra iscritti e simpatizzanti raggiunti 
telefonicamente, e circa 300.000 sterline raccolte in donazioni da parte
 di circa 19.000 persone. Ora la situazione debitoria è stata appianata,
 e i conti del partito sono in nero, cosa non da poco in vista del 
prosciugamento delle donazioni da parte del grande business su cui 
contava ampiamente da quando, all’inizio degli anni Novanta, era entrato
 a far parte dell’establishment.
Lo stillicidio di attacchi non si
 è fatto attendere: solo in quest’ultima settimana due reportage di Bbc e
 Channel 4 agitavano lo spauracchio di un partito infiltrato da 
sanguinari trotzkisti pronti a fare del Plp una nuova Ekaterinburg; il 
sindaco di Londra Sadiq Khan che annunciava il suo sostegno a Smith; un 
grido di dolore di David Miliband sul New Statesman e perfino la 
riesumazione del veterano Neil Kinnock.
Se riconfermato, Corbyn 
blinderà definitivamente il suo mandato. Ora deve lavorare duro su uno 
dei tropi che gli avversari sgranano come un rosario: quello 
dell’ineleggibilità del partito sotto l’attuale leadership. Il Labour si
 trova 11 punti dietro ai Tories; se rieletto, Corbyn dovrà affrontare 
il problema di una sessantina di ruoli da riempire nelle frontbenches a 
fronte della diserzione di massa dei deputati. Il segretario ha già più 
volte reiterato che intende «ricominciare da zero» e ha parlato di 
ramoscelli di ulivo da offrire a chi deciderà di tornare nei ranghi. 
Meno conciliatori sono i suoi due principali alleati, John McDonnell e 
il leader sindacale Len McCluskey, che agitano lo spettro di deselezione
 per gli ammutinati, molti dei quali hanno annunciato una linea di 
«coesistenza» (passiva, verrebbe da aggiungere) con il leader dai banchi
 delle retrovie.
In ogni caso, la tanto paventata scissione non pare ancora all’orizzonte: ai ribelli mancano sia i numeri, sia il peso politico.
 
