il manifesto 24.9.16
Trump e il populismo
Stati uniti.
Gli americani sono ben consci del «patto col diavolo» che i democratici
hanno stretto in questi anni con le élite economiche: dopo la convention
Hillary si è dedicata prevalentemente a raccogliere fondi. Il sostegno
di Wall Street significa il distacco da quei milioni di americani che
campano alla meglio, alle prese con l’insicurezza economica e con la
sensazione di impotenza politica. Quegli americani che una candidatura
di Bernie Sanders avrebbe potuto convincere
di Fabrizio Tonello
Alle
elezioni del prossimo novembre potrebbe emergere una maggioranza
relativa di cittadini che invoca legge e ordine a qualsiasi costo,
favorevole a espellere 11 milioni di immigrati, a sopprimere la
protezione dell’ambiente, la progressività del sistema fiscale e il
diritto all’aborto: un panorama politico da brividi. Nel 1933, il
nazismo andò al potere manipolando gente perbene, che voleva solo vivere
in una «Germania ordinata».
Lo stesso potrebbe fare Donald Trump:
occorre quindi chiedersi perché molti americani onesti voteranno per
lui. Una parte della risposta sta in un vecchio libro di Michael Kazin,
The Populist Persuasion, che traccia una storia del populismo dal 1890
ad oggi. Oggi sono degli estremisti di destra che si sono impadroniti
del termine «populismo» ma quando il People’s Party fu fondato a St.
Louis nel 1892, il suo programma era di battersi contro «La più crudele
delle aristocrazie, quella del denaro».
Il partito intendeva
«rimettere il governo della Repubblica nelle mani della gente comune»,
spazzando via i politici repubblicani asserviti ai miliardari di allora:
i Morgan, i Rockefeller, i Carnegie.
Nel 2016, il populismo americano ha un miliardario come candidato.
La
campagna per la presidenza nel 1896 fu aspra e il democratico-populista
William Jennings Bryan avrebbe senza dubbio vinto se dietro il
repubblicano William McKinley non ci fossero stati i miliardi dei robber
barons e l’intelligenza del direttore della campagna elettorale Marcus
Hanna. Prevalse McKinley, per soli seicentomila voti.
Il populismo
trovò poi un altro canale di espressione: il proibizionismo. Oggi esso
ci appare una stravaganza ma fu un movimento durevole e potente, che si
batteva tra l’altro per rivendicazioni progressiste come il voto alle
donne e il riconoscimento dei sindacati. Il suo zelo messianico era però
ovviamente autoritario.
L’altro peccato originale del movimento
era il razzismo. I sindacati erano all’avanguardia nel rivendicare la
chiusura delle frontiere agli immigranti, in particolare italiani, ebrei
e cinesi, esattamente come vuol fare Trump oggi. L’interesse di
limitare la concorrenza di manodopera a basso costo sul mercato del
lavoro si tingeva spesso di disprezzo per questi «animali» portati in
America al solo scopo di «aumentare i profitti di corporation straniere
(…) e procacciare bestiame per le frodi elettorali» (un altro tema di
cui si discute molto quest’anno). Zelo missionario e xenofobia sono
quindi correnti profonde e di lunga durata nella società americana.
Il
peso dei principi religiosi e dei «valori» familistici nella rinascita
di un populismo di destra è stato certamente determinante negli ultimi
40 anni, ma in un certo senso il New Deal era «stato vittima del proprio
successo». Le riforme di Franklin Roosevelt e l’irripetibile boom
postbellico avevano trasformato milioni di famiglie operaie in ceti medi
proprietari di una casetta nei sobborghi residenziali. Sono questi
lavoratori bianchi che oggi reagiscono alle turbolenze economiche e al
senso di perdita di controllo sulla propria vita portati dal
neoliberismo prendendosela con Washington e con l’establishment. Il loro
conservatorismo culturale li ha resi ostili a un partito democratico,
visto sempre più come l’organizzazione dei neri (Obama), delle donne
(Hillary Clinton) e degli omosessuali (la sentenza della Corte Suprema
che ha legalizzato il matrimonio gay).
Due mesi e mezzo di
campagna di Clinton sembrano aver ottenuto l’effetto opposto a quanto
gli strateghi del partito democratico speravano: la coalizione
populista-conservatrice al seguito di Trump si è rafforzata e
consolidata in misura inimmaginabile fino a solo poche settimane fa.
Perché?
Una risposta parziale è che gli americani sono ben consci
del «patto col diavolo» che i democratici hanno stretto in questi anni
con le élite economiche: dopo la convention Hillary si è dedicata
prevalentemente a raccogliere fondi. Il sostegno di Wall Street
significa il distacco da quei milioni di americani che campano alla
meglio, alle prese con l’insicurezza economica e con la sensazione di
impotenza politica. Quegli americani che una candidatura di Bernie
Sanders avrebbe potuto convincere.