sabato 24 settembre 2016

Corriere 24.9.16
Ombre e luci, errori e successi nella breve vita di Kennedy
risponde Sergio Romano

Ho letto Il secolo breve di Eric Hobsbawn. Ignoravo che il libro trasudasse marxismo! Tra i
tanti giudizi discutibili sulle figure di primo piano del Novecento, c’è questo, riferito a John
Fitzgerald Kennedy: «Il presidente degli Usa più sopravvalutato del secolo». Potrei avere un giudizio da lei su JFK?
Gabriele Spazzarini

Caro Spazzarini,
Quando si candidò alla presidenza degli Stati Uniti, Kennedy ebbe un netto successo nel Collegio elettorale dove ogni Stato della Federazione può contare su un numero di grandi elettori corrispondente alla sua importanza demografica. Ma il calcolo dei voti popolari gli dette una vittoria particolarmente risicata: il 49,7% dei suffragi contro il 49, 5% a Richard Nixon. Il risultato dimostrò che il giovane senatore del Massachusetts aveva un numero di oppositori pressoché eguale a quello dei suoi partigiani. Piaceva ai giovani, ai cattolici, agli intellettuali, ai veterani della Seconda guerra mondiale (si era distinto in un pericoloso scontro navale nel Pacifico) e a molti immigrati europei di seconda e terza generazione. Ma non piaceva al Sud, dove era considerato troppo liberal, a una parte del mondo protestante e agli ambienti conservatori dove il partito repubblicano raccoglieva tradizionalmente i suoi voti. È questa probabilmente la ragione per cui affrontò il problema delle condizioni di vita della grande comunità afro-americana con maggiori esitazioni e prudenze del suo successore, Lyndon Johnson.
Nelle grandi questioni internazionali il consuntivo della sua presidenza è ineguale. Ebbe un infelice incontro con il leader sovietico Nikita Kruscev a Vienna, nell’aprile del 1961, dove si dimostrò esitante e malfermo. Ma gli tenne testa con coraggio e buon senso durante la crisi dei missili cubani nell’anno seguente. Avallò, anche se di malavoglia, l’operazione organizzata dalla Cia contro il regime di Fidel Castro nella Baia dei Porci, ma evitò di impiegare l’aviazione americana e di trasformare una mal concepita avventura in un impopolare conflitto fra Davide e Golia. Non fece la guerra ai vietcong, come farà il suo successore, ma aumentò considerevolmente il numero dei consiglieri militari americani in Vietnam.
Gli aspetti meno positivi della sua presidenza furono riscattati dalla tragica morte a Dallas il 22 novembre 1963. Pochi presidenti furono allora altrettanto amati e rimpianti. Ma il tempo ha reso il giudizio sulla sua persona meno entusiasticamente positivo. Qualche storico preferisce ricordare che la sua elezione fu dovuta anche ai rapporti che il padre (un discusso imprenditore e uomo politico) aveva con la malavita. Altri criticano il suo familismo, particolarmente evidente nella decisione di dare al fratello Robert la carica delicata di Attorney General (una funzione che corrisponde grosso modo a quella del ministro della Giustizia nei governi europei). E altri infine sostengono che non poteva ignorare i progetti del fratello Robert per la eliminazione fisica di Fidel Castro e il sovvertimento del suo regime con l’aiuto di alcuni mafiosi.
Ai lettori che desiderano leggere uno studio della sua presidenza consiglio il libro di un brillante consigliere della Casa Bianca, Arthur Schlesinger, pubblicato in italiano da Rizzoli con il titolo I mille giorni di John F. Kennedy .