il manifesto 24.9.16
La punizione europea: Renzi escluso
Berlino.
 Juncker, Merkel e Hollande: vertice a tre senza Renzi. Dopo gli 
attacchi del premier italiano, l'incontro di Ventotene è già in 
archivio. E Roma è in affanno con le cifre della legge di stabilità
di Andrea Colombo
È
 uno sganassone affibbiato consapevolmente e freddamente. Mercoledì il 
presidente della Commissione Ue Juncker, la cancelliera Merkel e il 
presidente Hollande si vedranno a Berlino per un «vertice informale». 
Renzi non è invitato. In questo caso la forma conta molto più della 
sostanza. È improbabile che il summit estemporaneo, convocato con la 
scusa della presenza dei tre leader alla cena annuale organizzata dagli 
industriali europei nella capitale tedesca, prenda decisioni rilevanti. 
L’importante è il segnale inviato lasciando a casa l’Italia, e sancendo 
così l’esclusione da quel Direttorio europeo che pareva esser nato a 
Ventotene.
Merkel minimizza: «Nessun intento discriminatorio. 
Nessuna rottura. Gli incontri a due come a Maranello o a tre come a 
Ventotene si ripeteranno». Nessuna giustificazione però del mancato 
invito a Berlino. Si spiega perfettamente da sé, anche se la 
potentissima accompagna il bastone con la carota. Oggi Renzi è in 
punizione, quando si sarà messo di nuovo in riga torneranno i sorrisi. E
 gli inviti. L’escluso replica a muso duro riempiendo la rete e le 
agenzie di dichiarazioni bellicose. Al Washington Post dice che di 
questo passo la Ue rischia di perdere la sua unità. Su Facebook informa 
di aver «lanciato un appello al resto del Paese» perché tutti i sindaci 
intervengano sulle scuole: «L’Europa che vogliamo e che abbiamo 
contribuito a costruire non può essere l’ostacolo alla sicurezza dei 
nostri figli. Prima viene la stabilità delle scuole, poi quella delle 
burocrazie». A viva voce, durante una visita alla Ducati di Bologna, si 
scaglia contro l’austerity, «meccanismo sbagliato», «politiche che non 
servono a niente, anzi fanno male». Viva Obama: «Grazie a lui gli Usa 
hanno investito nella crescita e superato la crisi».
Il botta e 
risposta arriva dopo una settimana che ha visto precipitare lo stato dei
 rapporti tra Ue e Italia. Il tempo stringe. Martedì prossimo il governo
 dovrà varare la nota aggiuntiva al Def che, in una situazione 
completamente diversa e molto peggiore di quella prevista al momento di 
varare il documento nella primavera scorsa, sarà di fatto un nuovo Def. 
Dunque il governo picchia forte al portone europeo, ma stavolta lo trova
 blindato. Di giorno in giorno le dichiarazioni di Juncker come del 
presidente della Bundesbank si sono fatte più ostili. Se non ancora un 
No esplicito, almeno il suo necessario prologo: l’Italia ha già 
usufruito a man bassa della flessibilità.
Ma di quella decina 
almeno di miliardi il governo ha bisogno come dell’ossigeno. In caso 
contrario saranno impossibili gli interventi necessari, e a maggior 
ragione quelli propagandistici in vista del referendum. Sarà anche 
inevitabile, in base alla clausola di salvaguardia, aumentare l’Iva in 
gennaio. Difficile immaginare uno spettro più oscuro per Renzi, che 
promette da mesi il taglio delle tasse.
Dopo il fuoco incrociato 
della settimana scorsa e dopo la scortesia per il non-ospite di ieri la 
partita sembrerebbe chiusa. Probabilmente non è così. Il mancato invito,
 proprio come le dichiarazioni ruggenti di Renzi, sono la coreografia di
 una trattativa in corso e proprio i gesti clamorosi e le parole urlate 
rivelano che il tavolo non è ancora saltato. La Ue non ha intenzione di 
concedere l’intera cifra richiesta dal governo italiano, ma nemmeno 
vuole mandarlo a gambe all’aria. Qualcosa, quasi certamente, alla fine 
concederà. Però non tutto, non alla cieca e chiedendo contestualmente a 
Renzi di finirla con critiche continue che i vertici europei sopportano 
ogni giorno di meno. Per capire quale sarà il vero punto di caduta, al 
di là dei reciproci segnali gelidi ma non realmente sostanziali inviati 
in questi giorni, bisognerà aspettare la prossima settimana.
Nella
 difficile trattativa, Renzi non potrà contare su una «solidarietà 
nazionale» che gli sarebbe invece utile. Ma per questo le cose sono 
ormai andate troppo in là ed è proprio il capogruppo forzista Brunetta, 
solitamente pronto a sbraitare contro la Ue, a schierarsi stavolta con i
 falchi di Berlino e Bruxelles: «Renzi smetta di chiacchierare e faccia 
una legge che rispetti le regole europee». Un po’ forte, detto proprio 
da lui.
 
