il manifesto 23.9.16
Porte aperte, come dev’essere la sinistra
L'iniziativa
a Roma. Domani una proposta per il giorno dopo del referendum. In ogni
caso il voto sottolineerà un’alternativa al renzismo, ai Trattati , alle
destre
di Marco Furfaro
Ottantasei milioni di
voucher in 7 mesi. Milioni di persone che per lavorare si fanno dare un
cedolino. Ciak, si gira. Va in scena l’operazione di legalizzazione di
lavoro nero più grande della storia. Nessuna tutela, nessuna dignità.
Fuori e dentro il lavoro. Lavoratori trattati come schiavi. Al posto
delle catene il peso della ricattabilità. Non puoi dire no, nemmeno
dinanzi a un sopruso. Se lo fai, arriva un camion e ti porta via la
vita. Rimangono 5 figli senza padre e tempi che pensavi consegnati ai
libri di storia.
«L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà: è
quello che abitiamo tutti i giorni», scriveva Calvino. L’inferno delle
vigne di Franciacorta dove è morto un operaio rumeno di 66 anni per la
fatica. L’inferno di un milione di bambini in povertà, dei 160 mila
ragazzini che non finiscono il ciclo scolastico, dei femminicidi. Dei
lavoratori autonomi mortificati dal fisco, delle 800 mila donne in
gravidanza che vengono licenziate o rinunciano al lavoro perché non ce
la fanno a coniugare vita e lavoro. Altro che Fertility Day.
L’inferno
di un Paese in cui, certifica l’Istat, «la differenza la fa la famiglia
in cui cresci». Nasci povero, muori povero. L’ascensore sociale è fermo
al piano terra e l’operaio il figlio dottore non può più permetterselo
perché lo Stato nemmeno ti finanzia una borsa di studio.
Una
sofferenza che non ha racconto pubblico né rappresentanza. E così rimane
solo rassegnazione e rabbia. Che la peggiore politica cerca di
raccogliere a suon di miserevoli slogan, bufale, insulti. Eppure,
scriveva Calvino, c’è un altro modo: «Cercare e saper riconoscere chi e
cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli
spazio».
C’era una volta la sinistra ad avere cura di
quell’inferno, a dare spazio a quella disperazione e trasformarla in
speranza collettiva. Oggi no. Non se ne occupa il governo Renzi e la
sinistra che resta è ai minimi termini. Rimangono i Salvini, i Farage,
le Le Pen d’Europa. Quelli che ti vengono a dire che la colpa è del
povero cristo che da Aleppo si fa centinaia di chilometri a piedi, la
vita in un sacchetto della spesa, i soldi di una vita per un gommone. La
guerra degli ultimi. Mentre i primi stanno sempre là, popcorn in mano, a
guardare chi si scanna ferocemente senza sosta.
Il resto non è da
meno. Anche Renzi e Grillo fanno parte del copione. Persino il M5S
rivela tutta la sua inadeguatezza alla prova del governo. Manca
l’alternativa. E non nascerà né nella fusione tra gruppi dirigenti né
perimetrando noi stessi fuori dal mondo che ci circonda. Serve altro.
Perché non c’è solo la rabbia.
C’è un’Italia che lotta, che si
organizza in forme di socialità, cooperazione, solidarietà, innovazione.
L’emblema di un modello alternativo che non trova rappresentanza
politica perché fuori dai linguaggi e dalle pratiche consuete. Qui la
sinistra deve costruire il suo ruolo, tra l’inferno e la speranza: avere
cura dei dannati, delle solitudini, delle paure. Allearsi con
l’innovazione che include e sperimenta socialità.
Usciamo dalla
pozzanghera in cui siamo finiti. Perché non basterà issare la bandiera
della nostra purezza (quale, poi?), rinunciare alla battaglia per
un’altra Europa o evocare la parola “sinistra” come formula salvifica.
Occorre raccontare fragilità e buone pratiche, dargli spazio e
protagonismo. Senza paura di essere impuri, complessi e fragili come
coloro che vorremmo rappresentare. Entrando in connessioni crescenti con
il mondo, a partire dal referendum costituzionale.
Il risultato
del referendum – a torto o a ragione – sottolineerà o meno la necessità
di un cambiamento, di un’alternativa al renzismo, ai Trattati europei,
alle destre. È lo spartiacque su cui ricostruire il campo progressista
dell’alternativa. Non basterà la sinistra del meno siamo meglio stiamo,
né tanto meno quella brava solo a costruire caserme per pochi. Dobbiamo
aprire case matte per tanti. Aperte a tutti coloro che oggi si stanno
mobilitando in difesa della Costituzione. Usiamo questi mesi di
mobilitazione per aprirci, per tornare a definire una proposta politica
che dal giorno dopo il referendum possa far tornare a sperare, per
sancire che non abbiamo lasciato il campo a Grillo e Salvini ma che
vogliamo giocare per riprendercelo. Perché se c’è l’inferno, non può
essere certo la sinistra ad abdicare alla ricostruzione di una
possibilità di cambiamento. Questa sarà la strada che indicheremo domani
a Roma, in piazza S. Maria Liberatrice. E lo faremo a Porte Aperte.
Come la sinistra che vorremmo.
www.porteaperte.org