il manifesto 22.9.16
Capo Lakota: «Le compagnie petrolifere distruggono le nostre terre»
Le proteste contro la Dakota Access Pipeline
Marco Cinque
Martedì
scorso, nelle stesse ore in cui il presidente degli Stati uniti
parlava, un altro presidente di un’altra America interveniva a Ginevra,
davanti al Consiglio delle Nazioni Unite, per denunciare tutti i rischi
che deriveranno dalla costruzione dell’oleodotto Dakota Access Pipeline:
«Il mio nome è Dave Archamoult, sono il presidente della Standing Rock
Sioux Tribe. La nostra nazione è situata negli Usa. La nostra sovranità è
stata sancita dai trattati del 1961 e 1968 firmata dai nostri capi e
dai presidenti degli Stati Uniti. Sono qui perché le compagnie
petrolifere stanno deliberatamente causando la distruzione dei nostri
luoghi sacri e di sepoltura. La Dakota Acess Pipeline vuole costruire un
oleodotto che passerà sotto il fiume che è la nostra risorsa di acqua
da bere».
Così ha denunciato con fermezza Archamoult
all’Assemblea, spiegandone le ragioni: «Questo oleodotto minaccia le
nostre comunità, il fiume e la terra intera. La nostra nazione sta
lavorando per proteggere la nostra acqua e i nostri luoghi sacri a
beneficio dei nostri figli non ancora nati, ma le compagnie petrolifere e
il governo degli Usa stanno mancando di rispettare i nostri diritti.
Oggi la costruzione dell’oleodotto continua, anche se c’è stato un
arresto temporaneo vicino alla nostra nazione. Questa compagnia ha
distrutto le tombe dei nostri antenati e dei nostri luoghi sacri con i
bulldozers, questa compagnia ha anche usato i cani d’attacco contro
individui che cercavano di proteggere la nostra acqua e i nostri luoghi
sacri. Condanno tutta la violenza, incluso l’uso di cani da guardia.
Mentre noi siamo andati davanti al tribunale negli Usa, i tribunali
hanno mancato di proteggere i nostri diritti e le nostre terre sacre e
la nostra acqua».
Come già documentato nel precedente articolo,
uscito sul manifesto del 14 settembre scorso, la costruzione
dell’oleodotto attraverserebbe 4 diversi Stati, passando sotto il fiume
Missouri e diversi altri corsi d’acqua, minacciando seriamente
l’incolumità di milioni di persone, oltre quella delle popolazioni
indigene.
L’aggressività delle multinazionali, legate agli
interessi affaristici e politici (in particolare soggetti vicini
all’impresentabile candidato repubblicano, il magnate Donald Trump),
rende davvero ardua la clamorosa protesta, sia sul campo che
istituzionale, delle comunità native.
Memore delle violazioni dei
trattati da parte delle cosiddette «lingue biforcute», succedutesi negli
anni ai danni delle popolazioni native, il leader Sioux ha concluso:
«Ci appelliamo al Consiglio dei diritti Umani e a tutti i membri delle
Nazioni Unite affinché condannino la distruzione dei nostri luoghi sacri
e di supportare gli sforzi della nostra nazione per assicurarsi che i
nostri diritti sovrani vengano rispettati. Chiediamo che voi chiediate a
tutte le parti di fermare la costruzione dell’oleodotto e di proteggere
l’ambiente, il futuro della nostra nazione, la nostra cultura e il
nostro modo di vivere».