il manifesto 22.9.16
Un nuovo fronte: portare il referendum alla Consulta
Ricorso.
Il quesito unico è incostituzionale, sostiene il pool di avvocati che
ha già abbattuto il Porcellum. Udienza urgente il 6 ottobre davanti al
tribunale civile di Milano
di Andrea Fabozzi
La
Corte costituzionale che ha rinviato la decisione sull’Italicum a dopo
il referendum per cercare di tenersi lontana dalle polemiche politiche,
potrebbe paradossalmente vedersi recapitare un quesito di
costituzionalità che riguarda direttamente il referendum sulla riforma.
Ritorna il problema del quesito unico, quello cioè che tra fine novembre
e inizio dicembre chiederà agli elettori di rispondere con un Sì o un
No a una legge di oltre 40 articoli che revisiona la Costituzione in
parti assai diverse. Un solo Sì o un solo No all’abolizione del Cnel,
alle nuove competenze del senato, ai senatori non eletti direttamente
dal popolo, ai nuovi poteri del governo e alla nuova architettura dei
rapporti stato-regioni. Impossibile per il cittadino scegliere o
distinguere: il referendum con un quesito unico è prendere o lasciare.
Rispetta,
questa modalità di voto, il diritto degli elettori a esprimersi in
maniera libera e consapevole, principio sancito negli articoli 48 e 1
della Costituzione? Lo hanno chiesto al tribunale civile di Milano gli
avvocati Claudio e Ilaria Tani, Aldo Bozzi ed Emilio Zecca; nel
procedimento si sono poi inseriti il costituzionalista Fulco Lanchester e
i radicali Riccardo Maggi (segretario dei radicali italiani) e Mario
Staderini, rappresentati dall’avvocato Felice Besostri. Si è così
ricomposto il gruppo di legali che nel 2013 ha affondato il Porcellum e
che avrebbe tentato di fare il bis con l’Italicum nell’udienza della
Consulta prevista per il 4 ottobre che è stata invece rinviata.
Due
giorni dopo quel mancato appuntamento, il prossimo 6 ottobre, davanti
alla prima sezione civile di Milano si discuterà il ricorso di urgenza
con il quale si chiede al giudice monocratico di rinviare gli atti alla
Corte costituzionale, essendo il diritto al voto libero messo in
pericolo dall’imminente referendum costituzionale. La questione era già
stata posta dai radicali a luglio, quando tentarono di proporre non uno
ma più referendum sulla riforma, «spacchettando» i quesiti sulla
Renzi-Boschi davanti all’ufficio centrale della Corte di Cassazione. Ma
non ci furono abbastanza parlamentari disponibili a sostenere la
proposta, così non è stato possibile porre formalmente la questione.
Questione
che è ben presente nelle riflessioni dei costituzionalisti italiani, a
cominciare da quelle di Alessandro Pace che attualmente presiede il
comitato per il No al referendum. La Consulta si è anche espressa, nel
1978 e nel 1987, per stabilire che i quesiti referendari devono essere
«omogenei». L’elettore non può «volere ciò che disvuole», hanno detto i
giudici delle leggi, che però si sono espressi sul referendum
abrogativo, che è un istituto diverso dal referendum costituzionale.
Tanto è vero che la legge che nel 1970 ha disciplinato i referendum
prevede la possibilità di quesiti parziali solo per i referendum
abrogativi.
Ma il principio, il diritto cioè a un voto pienamente
libero e consapevole – argomentano l’avvocato Tani e i colleghi – è lo
stesso, alla base anche della famosa sentenza che ha abbattuto le liste
bloccate del Porcellum. Per questo si chiede al giudice di Milano di
rimettere con urgenza la questione di legittimità costituzionale della
legge 352/1970 alla Consulta, nella parte in cui non prevede l’obbligo
di quesiti omogenei anche per il referendum costituzionale e non lascia
all’ufficio centrale della Cassazione la possibilità di dividere il
quesito in parti separate. In ogni caso, anche se il giudice civile
dovesse accogliere le ragioni dell’urgenza, è praticamente impossibile
che la Corte costituzionale possa esprimersi sulla questione prima del
referendum. La cui data verrà finalmente ufficializzata lunedì prossimo
dal governo. E anche in questo caso c’è chi è già pronto a impugnare il
decreto che Renzi sta per firmare.