il manifesto 22.9.16
Paolo Berdini sfida Renzi: «Ora un patto per la Capitale»
Olimpiadi.
 L’assessore all’Ubanistica di Roma: «C’era la possibilità di un nuovo 
piano per lo sviluppo città. Evidentemente è mancato il tempo per il 
confronto». «Ora finanziate il nostro progetto»
di Eleonora Martini
Il
 no secco di Virginia Raggi alle Olimpiadi del 2024 non ferma il sogno 
dell’assessore all’Urbanistica di dare a Roma un futuro da vera capitale
 d’Italia. Paolo Berdini a questo punto rivolge la sfida non più al 
comitato olimpico, come avrebbe voluto, ma direttamente a Matteo Renzi: 
«Il primo ministro ha sottoscritto con il sindaco Beppe Sala un patto 
per Milano stanziando 1,5 miliardi di euro. Roma si candiderà al patto 
per la Capitale da sottoscrivere con Palazzo Chigi».
Assessore, la sindaca ha detto: «È da irresponsabili dire sì a questa candidatura». E’ d’accordo?
Raggi
 ha perfettamente ragione perché il progetto che era stato approvato 
durante il mandato del sindaco Marino era devastante sotto il profilo 
urbanistico, e dunque avrebbe alimentato ulteriormente la grave crisi 
del sistema urbano romano.
Quali erano le peggiori pecche?
Faccio
 un solo esempio sul quale a breve apriremo un confronto con le forze 
sociali e la città intera perché riguarda il futuro della Capitale. Nel 
progetto di Marino era prevista la costruzione delle case degli atleti a
 Tor Vergata su aree espropriate dallo Stato per costruire la più grande
 università d’Italia. Rinunciavamo dunque a funzioni d’eccellenza che 
sono il futuro delle prossime generazioni per costruire volgari 
abitazioni.
E chi ci guadagnava?
Chi ha la concessionaria. 
Che però deve essere coinvolta nel confronto sul futuro dell’area, 
perché lì c’è la possibilità di far riprendere a Roma il ruolo di 
Capitale.
«Roma è una città invivibile, basta cattedrali nel 
deserto», ha affermato la sindaca. Ma quelle cattedrali che sono ormai 
ruderi nel deserto con quali fondi verranno ultimate o abbattute?
Per
 il riuso delle Vele di Calatrava, per esempio, sta per concludersi un 
accordo con l’università di Tor Vergata che finanzierà un progetto 
fondamentale per lo sviluppo della città: su quell’area sorgeranno dei 
laboratori di biologia e all’interno della struttura rimasta incompiuta 
nascerà una gigantesca serra. È questo il modello che vogliamo 
affermare: servizi d’eccellenza invece di volgari speculazioni edilizie.
Dunque
 anche lei dice «assolutamente no alle Olimpiadi del mattone». Ma per 
fermare la lunga mano dei “palazzinari” si poteva solo rinunciare alla 
candidatura?
C’era la possibilità di accettare un nuovo progetto per il futuro della città.
Ma
 Malagò lo ha detto in tutti i modi che il progetto si poteva cambiare e
 che c’era tempo per verificarne la fattibilità e poi eventualmente 
ritirarsi…
Nel giro di pochissimo tempo, due mesi, 
l’amministrazione renderà pubblico un progetto complessivo di opere per 
il trasporto pubblico non inquinante e per la riqualificazione degli 
impianti sportivi delle periferie. Su quel progetto chiederemo allo 
Stato gli indispensabili finanziamenti per non far affondare Roma nel 
degrado. Questa è l’impostazione che guarda al futuro.
E non era proprio possibile sfruttare l’occasione dei Giochi per farsi finanziare quel progetto?
Se
 non ci sarà la candidatura alle Olimpiadi 2024, Roma si candiderà al 
“patto per la Capitale” da sottoscrivere con Palazzo Chigi, visto che il
 primo ministro ha sottoscritto con Beppe Sala il “patto per Milano” 
stanziando 1,5 miliardi di euro. Se pensiamo al rapporto con la 
popolazione, Roma ha dunque un credito di 4,5 miliardi.
La sindaca
 ha detto: «Ci piacciono le Olimpiadi ma non quelle del mattone», per 
aggiungere però che tutte le Olimpiadi sono una sorta di «assegno in 
bianco che firmano i paesi e le città ospitanti». La giunta Raggi dunque
 dice no ai grandi eventi in generale?
Ci sono due motivi per 
imboccare una strada nuova. Il primo è che finalmente siamo tutelati 
dalla presenza dell’Anac di Cantone, che avrebbe vigilato con rigore 
sull’attribuzione dei finanziamenti pubblici. Il secondo – che Raggi ha 
giustamente ribadito – è però il palese fallimento della cultura delle 
grandi opere e dei grandi eventi, che ha trionfato nell’ultimo ventennio
 e che ha portato a un indebitamento delle amministrazioni locali 
intollerabile.
Per esempio le racconto un fatto gravissimo e poco 
noto alla città: si era alla ricerca del luogo dove far svolgere le gare
 di canottaggio e si puntava sul lago di Castel Gandolfo, che nel 1960 
ebbe gli onori della cronaca per la bellezza del luogo. Ora quel lago 
non può più essere utilizzato perché l’abbassamento del livello 
dell’acqua di oltre cinque metri dice che siamo di fronte ad 
un’emergenza ambientale di dimensioni catastrofiche. Ecco, la cultura 
delle grandi opere nasconde accuratamente i danni che produce 
sull’ecosistema.
Il progetto che renderemo pubblico tra poco va 
esattamente nella direzione opposta perché riporta finalmente le città 
nelle mani delle amministrazioni comunali e chiude per sempre con 
quell’approccio culturale che è stato il principale dissipatore di 
risorse pubbliche.
Lo stadio della Roma non è una grande opera?
Sì,
 e dunque andrà rivista sotto il profilo della sostenibilità economica 
ed urbanistica di una città che ha 13,5 miliardi di deficit.
Allora non è detto che verrà realizzato?
No,
 perché l’Aula capitolina dovrà confermare l’interesse pubblico a 
costruire un milione di metri cubi di cemento che in realtà è 
nell’interesse degli operatori che propongono l’impianto. Sarebbe meglio
 tornare a prevedere la realizzazione solo e soltanto di uno stadio.
Raggi
 ha affermato di non aver mai cambiato idea da quando nel giugno 2015 il
 M5S votò in Consiglio comunale no alle Olimpiadi. Nessun tentennamento.
 Vuol dire che non ha mai ascoltato le sue obiezioni e le sue proposte?
È
 evidentemente mancato il tempo per una rigorosa interlocuzione con il 
Cio e con lo staff tecnico che ha redatto il piano di Marino per le 
Olimpiadi. Purtroppo per l’amministrazione romana i tempi della 
procedura olimpica sono stati incompatibili con l’esercizio di un 
confronto democratico esteso a tutta la città.
Eppure secondo 
Raggi il referendum sulle Olimpiadi c’è già stato: con il ballottaggio. 
Peccato che il quesito non era così chiaro, forse si sarebbe recato alle
 urne qualcuno in più del 50% dei romani…
Credo che la strada 
proposta da Riccardo Magi (segretario di Radicali italiani, ndr) di 
indire un referendum consultivo poteva essere arricchita dalla 
indicazione dei progetti sul futuro delle periferie. E sarebbe stata 
l’occasione per un grande dibattito pubblico.
Questo no così netto non servirà un po’ anche agli equilibri interni del M5S?
La
 sfida del governo di Roma è così gigantesca da avere ripercussioni 
sugli equilibri di qualsiasi forza politica, Cinque Stelle compresi. Ed è
 fisiologico che ci sarebbero state delle scosse di assestamento. È ora 
di chiudere questa fase di avvio, e concentrarsi sul recupero di una 
città che altrimenti va verso il fallimento.
Lo troverete un assessore al bilancio?
Sicuramente.
 
