Corriere 22.9.16
Il paradosso della scelta sui Giochi
di Sergio Rizzo
Virginia
Raggi rivendica di non aver cambiato idea. E per certi aspetti è vero.
«Ritengo che sia criminale iniziare a parlare di Olimpiade quando Roma
muore affogata di traffico e di buche», dice il 30 maggio a Piazza
Pulita . Salvo poi precisare il giorno dopo: «Criminale è snobbare i
problemi reali dei romani pensando solo alle grandi opere. Non mi
riferivo ovviamente all’Olimpiade, di fronte alla quale non c’è alcun
pregiudizio da parte del Movimento 5 Stelle». Finché la formula, una
volta eletta sindaca, pian piano diventa: «L’Olimpiade non è una
priorità». La certifica il vicepresidente della Camera Luigi Di Maio, in
attesa che dal blog di Beppe Grillo arrivi la sospirata scomunica
ufficiale. Tutti ricordiamo che quattro anni fa il premier Mario Monti
si assunse la responsabilità di dire «No» alla candidatura della
capitale d’Italia per i giochi del 2020. Allora era un presidente del
Consiglio, oggi a decidere è un privato cittadino garante di un
movimento politico. Ma la morale è sempre la stessa: la città di Roma
non decide mai, né in un senso, né in quello opposto. Non decide la sua
classe dirigente, perché non c’è o è troppo debole. Quello che è
accaduto ieri è la conferma che il problema va ben oltre il tenue
steccato dei partiti. E non risparmia il Movimento 5 Stelle. Rispetto ai
Giochi olimpici Roma è ridotta così male da avere altre priorità:
concordiamo.
M a continuiamo a credere che abbia ragione
l’assessore all’Urbanistica Paolo Berdini al quale è toccato, in questo
frangente, vestire i panni del grillo parlante. Per una forza politica
che si candida a governare il Paese per cambiare tutto, questa è
un’occasione persa.
L’Olimpiade avrebbe potuto essere una prova di
estrema maturità. La dimostrazione che gli appalti pubblici si possono
fare anche senza corrompere e rubare, che le infrastrutture si possono
realizzare senza sprechi inutili, che organizzare un grande evento non
necessariamente equivale a inondare di cemento inutile la città e
arricchire gli speculatori, che il disperato bisogno di normalità di
questo Paese può finalmente tradursi in realtà, che Mafia Capitale è
morta e sepolta. Avrebbero potuto alzare l’asticella fino
all’inverosimile: pretendere altri responsabili dell’organizzazione,
imporre procedure di trasparenza estrema, rivendicare controlli
esasperati. Hanno scelto di non mettersi in gioco. La scelta più facile,
in questo momento.
Ma anche la più politicamente redditizia.
L’unica accettabile, per il loro Dna. Basta fare un giro sulla Rete per
constatare che la maggioranza degli internauti, serbatoio del consenso
grillino, manifesta entusiasmo per il «No». Nonostante i malumori di
qualcuno, la mossa è di sicuro servita a rinserrare i ranghi del
Movimento, rendendo più solido il nocciolo duro intorno a Beppe Grillo
in una fase nella quale il caso romano aveva seminato disorientamento
perfino nei vari direttori. Quel «No» potrà sempre servire come scudo
difensivo contro ogni attacco dei soliti poteri forti ai Cinque stelle,
sul fronte romano e su quello nazionale: «Se la prendono con noi perché
abbiamo detto No all’Olimpiade…». Senza poter escludere che tale
ricaduta sia ancora più importante della decisione sul merito. A chi
interessa l’Olimpiade? E poi, fra otto anni Dio vede e provvede… Ecco
perché non avrebbero mai detto «Sì». Quel «Sì» avrebbe significato
accettare discussioni, mediazioni, intese. Impossibile solo da
immaginare.
Ed è anche la ragione per cui questa storia, oltre a
non aver dissipato la sensazione di estrema fragilità della classe
dirigente al governo di Roma, ha messo pure in discussione alcune regole
basilari cui si è sempre ispirato il Movimento. Come la democrazia
diretta. La proposta del segretario dei radicali italiani Riccardo Magi
di far decidere ai cittadini con un referendum è stata liquidata
sbrigativamente. Né abbiamo assistito a consultazioni «Olimpiarie»
online degli aderenti, o alle famose dirette streaming. Qualcuno ha
capito com’è stata presa la decisione? Certo non dal Consiglio, e
nemmeno dalla Giunta comunale. Chi era a favore, o contrario? Se utile
alla propaganda, lo streaming è un dogma usato anche come manganello;
diventa un optional quando può essere fonte di imbarazzo. Funziona
sempre. Ma dov’è la differenza con gli altri, a questo punto ce lo
dovrebbero spiegare.