martedì 20 settembre 2016

il manifesto 20.8.16
L’Italia fa scena ma non ha strategia
di Sergio Cofferati

Molti commentatori si sono chiesti: il presidente del Consiglio italiano è stato escluso dai suoi corrispettivi tedesco e francese dalla conferenza stampa conclusiva del meeting di Bratislava o si è sottratto lui per sottolineare il suo dissenso sulle conclusioni? Il quesito è interessante ma non decisivo per comprendere lo stato delle «cose europee».
Ventotene è stata presentata dal governo italiano, con l’usuale demagogia, come il rilancio di una Idea Alta dell’Europa, proposta simbolicamente davanti all’isola di Spinelli e Rossi, nel mare dei migranti. A Maranello, a casa di un signore che ha appena trasferito la sede delle sue attività in Olanda, dove però non farà auto ma pagherà meno tasse, l’Idea Alta dell’Europa è stata poi confermata con enfasi nel confronto bilaterale con la cancelliera. Oggi, dopo Bratislava, non si comprende quali siano le scelte di merito sulle quali si dovrebbe fondare il rilancio delle istituzioni europee, e ancor meno il grado di convergenza su queste scelte.
Pare di capire che i problemi principali siano le politiche per l’immigrazione e quelle economiche, anche se temo non siano gli unici. Penso che sia impossibile una vera convergenza su questi temi senza una modifica dei trattati vigenti. La politica estera (della quale la gestione dell’immigrazione è parte importante) e la politica fiscale (base di ogni politica economica e non solo) sono di titolarità degli stati nazionali. I governi italiani tuttavia non hanno mai parlato di rimettere mano ai trattati.
Il recente semestre italiano ha evitato di affrontare questo decisivo argomento, lasciando così la ricerca dell’intesa politica sull’accoglienza alla buona volontà dei governi. Gli esiti profondamente negativi sono evidenti ma ancor di più si vede la differenza di intenti rispetto agli alleati «privilegiati»: quelli incontrati sulla portaerei davanti a Ventotene.
Anche sulla politica economica i problemi sono enormi. Dopo aver accettato senza colpo ferire il fiscal compact e i suoi collegati, dopo aver esaltato il piano Juncker che doveva far ripartire le economie europee senza risorse fresche, ora ci si rende conto che le cose non vanno bene. Il presidente del Consiglio minaccia una discussione dura nei prossimi mesi, ma non spiega gli obbiettivi che vuole raggiungere.
Per battere il rigorismo e l’austerità sono necessarie politiche keynesiane per creare reddito e lavoro, fatte con investimenti pubblici che trascinino quelli privati. Le risorse necessarie sono reperibili con politiche fiscali «comuni» che contrastino l’evasione e l’elusione, assicurino che le imprese paghino le imposte dove ottengono profitti e includano una efficace tassa sulle transazioni finanziarie. Anche su questo tuttavia il governo tace, mentre esalta i trasfertisti olandesi.
Dunque: nuovi trattati che trasferiscono sovranità dagli stati all’Unione europea, politiche solidali e uniformi per l’accoglienza e, aggiungerei, la ricerca di qualche strumento a carattere universale per difendere i più deboli, quelli che stanno pagando il prezzo più alto di questa difficile fase della vita europea. Senza scelte nette e coraggiose si rimane viandanti che alla domanda «dove vai?» rispondono «porto pesci».