il manifesto 20.8.16
L’Italia fa scena ma non ha strategia
di Sergio Cofferati
Molti
commentatori si sono chiesti: il presidente del Consiglio italiano è
stato escluso dai suoi corrispettivi tedesco e francese dalla conferenza
stampa conclusiva del meeting di Bratislava o si è sottratto lui per
sottolineare il suo dissenso sulle conclusioni? Il quesito è
interessante ma non decisivo per comprendere lo stato delle «cose
europee».
Ventotene è stata presentata dal governo italiano, con
l’usuale demagogia, come il rilancio di una Idea Alta dell’Europa,
proposta simbolicamente davanti all’isola di Spinelli e Rossi, nel mare
dei migranti. A Maranello, a casa di un signore che ha appena trasferito
la sede delle sue attività in Olanda, dove però non farà auto ma
pagherà meno tasse, l’Idea Alta dell’Europa è stata poi confermata con
enfasi nel confronto bilaterale con la cancelliera. Oggi, dopo
Bratislava, non si comprende quali siano le scelte di merito sulle quali
si dovrebbe fondare il rilancio delle istituzioni europee, e ancor meno
il grado di convergenza su queste scelte.
Pare di capire che i
problemi principali siano le politiche per l’immigrazione e quelle
economiche, anche se temo non siano gli unici. Penso che sia impossibile
una vera convergenza su questi temi senza una modifica dei trattati
vigenti. La politica estera (della quale la gestione dell’immigrazione è
parte importante) e la politica fiscale (base di ogni politica
economica e non solo) sono di titolarità degli stati nazionali. I
governi italiani tuttavia non hanno mai parlato di rimettere mano ai
trattati.
Il recente semestre italiano ha evitato di affrontare
questo decisivo argomento, lasciando così la ricerca dell’intesa
politica sull’accoglienza alla buona volontà dei governi. Gli esiti
profondamente negativi sono evidenti ma ancor di più si vede la
differenza di intenti rispetto agli alleati «privilegiati»: quelli
incontrati sulla portaerei davanti a Ventotene.
Anche sulla
politica economica i problemi sono enormi. Dopo aver accettato senza
colpo ferire il fiscal compact e i suoi collegati, dopo aver esaltato il
piano Juncker che doveva far ripartire le economie europee senza
risorse fresche, ora ci si rende conto che le cose non vanno bene. Il
presidente del Consiglio minaccia una discussione dura nei prossimi
mesi, ma non spiega gli obbiettivi che vuole raggiungere.
Per
battere il rigorismo e l’austerità sono necessarie politiche keynesiane
per creare reddito e lavoro, fatte con investimenti pubblici che
trascinino quelli privati. Le risorse necessarie sono reperibili con
politiche fiscali «comuni» che contrastino l’evasione e l’elusione,
assicurino che le imprese paghino le imposte dove ottengono profitti e
includano una efficace tassa sulle transazioni finanziarie. Anche su
questo tuttavia il governo tace, mentre esalta i trasfertisti olandesi.
Dunque:
nuovi trattati che trasferiscono sovranità dagli stati all’Unione
europea, politiche solidali e uniformi per l’accoglienza e, aggiungerei,
la ricerca di qualche strumento a carattere universale per difendere i
più deboli, quelli che stanno pagando il prezzo più alto di questa
difficile fase della vita europea. Senza scelte nette e coraggiose si
rimane viandanti che alla domanda «dove vai?» rispondono «porto pesci».