il manifesto 20.9.16
Il Jobs Act è tutto un flop
Inps.
Nei primi sette mesi del 2016 tracollo delle assunzioni: -33,7%.
Prosegue il boom dei voucher: + 36,2%. Tagliati gli sgravi, crollano gli
assunti. Fine annunciata di una «riforma strutturale» buona per essere
presentata ai tavoli con Bce e Germania. Pioggia di bonus e populismo a
favore delle imprese: dieci miliardi di euro volatilizzati
di Roberto Ciccarelli
Finiti
gli incentivi, crollano le assunzioni del Jobs Act. Lo ha confermato,
ancora una volta ieri, l’Osservatorio sul precariato dell’Inps secondo
il quale nei primi sette mesi del 2016 il saldo tra cessazioni e
contratti a tempo indeterminato è pari a 76.324 mila, l’83,5% in meno
rispetto all’anno scorso, quando gli sgravi fiscali per i nuovi assunti
con il «contratto a tutele crescenti» era più alto. A conferma del
fallimento del Jobs Act può essere utile anche la comparazione con i
dati del 2014 quando gli sgravi regalati alle imprese non c’erano
ancora.
Due anni fa il saldo sui rapporti a tempo indeterminato
era positivo: +129.163 unità. Gli oltre dieci miliardi di euro pubblici
elargiti in tre anni dal governo Renzi alle imprese non sono serviti
nemmeno a migliorare il dato del 2014, uno dei peggiori anni della
crisi. Il rallentamento delle assunzioni ha coinvolto i due pilastri sui
quali ha fondato la propria politica occupazionale: calano i contratti a
tempo indeterminato (-379 mila pari a – 33,7% rispetto ai primi sette
mesi del 2015) e le trasformazioni di contratti precari precedenti in
contratti a tempo indeterminato (-36,2%).
Dopo il taglio
dell’incentivo per le assunzioni – oggi è al 40% entro il limite annuo
di 3.250 euro e durerà due anni e non tre- i rapporti di lavoro
agevolati rappresentano il 32,3% del totale delle
assunzioni/trasformazioni a tempo indeterminato. Nel 2015 era al 60,8%.
Oltre due terzi delle nuove assunzioni a tempo indeterminato ha
riguardato operai (539.330 su 743.695) mentre gli impiegati assunti
stabilmente sono stati 188.171. Fino al luglio le assunzioni con esonero
contributivo biennale sono state 227mila, le trasformazioni dei
rapporti a termine che beneficiano del medesimo incentivo sono 71mila.
Il
totale è 298 mila rapporti di lavoro agevolati. Teniamo bene a mente
questa cifra – per la quale Renzi ha fatto spendere miliardi – e
confrontiamola con il dato complessivo delle assunzioni a tempo
determinato nel settore privato: due milioni e 143 mila in sette mesi,
in linea con il 2015 (+ 0,9%) e in crescita rispetto al 2014 (+ 3,5%).
Complessivamente
le assunzioni tra gennaio e luglio sono state 3 milioni e 428 mila,
comprensive anche di 408 mila stagionali. Rispetto al 2015 la perdita è
stata del 10% secco, 382 mila unità, la maggior parte delle quali hanno
coinvolto i contratti a tempo indeterminato (-379 mila), i contratti che
il governo ha voluto incentivare con la sua scriteriata politica dei
bonus.
Continua il boom dei voucher, la principale innovazione
prodotta dal Jobs Act che ne ha esteso l’ambito di applicazione: fino a
luglio sono stati venduti 84,3 milioni buoni dal valore nominale di 10
euro con un incremento del 36,2% rispetto ai primi sette mesi del 2015.
Si tratta di una «frenata» rispetto alla crescita del 73% registrata nel
2015 rispetto all’anno precedente. Si conferma la tendenza dell’impresa
all’uso dell’ultima forma di precarizzazione assoluta: il sistema ha
ormai trovato un equilibrio e usa le prestazioni di lavoro occasionali
al posto di quelle a termine. Il destino del contratto di lavoro è
segnato: sarà sostituito da uno «scontrino» acquistabile dal tabaccaio.
Questi
dati permettono di spiegare in un altro modo l’aumento dell’occupazione
registrata pochi giorni fa dall’Istat (+189 mila unità nel secondo
trimestre 2016) e festeggiato, in maniera a dir poco avventata, dal
governo.
I dati dell’Inps (e del ministero del lavoro) registrano i flussi tra un contratto attivato e un altro cessato.
Quelli dell’Istat fotografano invece gli stock, la quantità di chi è al lavoro in un determinato momento.
Le
rilevazioni registrano i movimenti compiuti entro la settimana
precedente: si è occupati anche se si acquista un voucher. Qui la
quantità non risponde a nessun criterio di qualità. Ciò che conta per il
governo è creare un movimento artificiale dei contratti in modo tale
che le statistiche lo registrino. Con questi dati l’esecutivo può
sedersi ai tavoli europei e fingere che il mercato del lavoro sia in
ripresa. A tutti fa comodo crederci: ieri anche il governatore della
Bundesbank Jens Weidmann ha dato il suo ok al Jobs Act. Le cose stanno
diversamente: il governo non rinnoverà gli incentivi nella prossima
legge di bilancio, tranne che per giovani e assunzioni nel Sud.
«I
voucher fanno statistica ma non fanno occupazione. Finiremo l’anno con
140 milioni di euro di voucher e non è una cosa accettabile. Bisogna
assolutamente mettere mano a questo meccanismo – sostiene Pierluigi
Bersani (Pd) – Il jobs act ha bisogno di una messa a punto, ci sono
problemi serissimi come quelli che riguardano le trasformazioni in
contratti a tempo indeterminato che sono meno di quando c’era l’articolo
18 e di quando non c’erano gli incentivi».
«Il Jobs Act è un
nuovo bluff di Renzi. I miliardi che è costato potevano andare a chi è
in povertà» sostengono i parlamentari Cinque Stelle.
«Questa
riforma ha destrutturato i diritti del lavoro. L’aumento dei voucher è
il frutto del totale spostamento verso il lavoro nero, non dichiarato e
senza tutele» afferma la segretaria della Cgil Susanna Camusso.
«La
liberalizzazione dei voucher genera una valanga sempre più grande di
precarietà – sostiene Stefano Fassina (Sinistra Italiana) – e spinge
alla riduzione delle retribuzioni».