martedì 20 settembre 2016

il manifesto 20.9.16
Alla Camera piovono mozioni. Ma ognuno si vota la sua
Italicum. Pd diviso. Bersani: serve un'iniziativa di Renzi
di Daniela Preziosi

ROMA La decisione della Consulta di rimandare l’esame dell’Italicum piove in serata sulle già tormentatissime forze politiche che domani pomeriggio alla Camera voteranno le mozioni sulla stessa legge elettorale. Ieri mattina in aula è iniziata la discussione sul primo testo, quello presentato da Sinistra italiana. Chiede di intervenire subito, «prima del pronunciamento della Corte» sulla riforma, come ha spiegato il capogruppo Arturo Scotto, «eliminando i palesi vizi di incostituzionalità». E se fin qui c’era chi storceva il naso per l’eventuale intralcio con l’imminente udienza della Corte, ora che l’udienza è rimandata (di certo dopo il voto referendario) l’approvazione della mozione potrebbe avere un maggiore peso politico. Per le forze dell’opposizione che – a parole – criticano l’Italicum dovrebbe sembrare scontato il sì; così per la minoranza Pd.
E invece no. E infatti si prepara a votare no il Movimento 5 Stelle che ieri ha annunciato una propria mozione. Tanto per votare qualcosa e non fare troppo platealmente la parte di Ponzio Pilato: da giorni il deputato Danilo Toninelli ha annunciato che il disinteresse dei M5S per la mozione di Si, perché l’Italicum «va abbattuto attraverso la vittoria del no al referendum». C’è l’occasione di impegnare la camera a modificarlo? Troppo poco. Arriverà un no anche dai centristi di Ap che a loro volta presenteranno testo che impegna il governo ad aprire «un confronto tra tutte le forze politiche sulle modifiche da apportare all’Italicum» ma «immediatamente dopo lo svolgimento del referendum». Cosa che succederà comunque, mozione o no. Silenzio di tomba per ora da parte di Forza Italia e Lega.
Ha gioco facile il Pd a sfidare le opposizioni a presentare una proposta comune. Una proposta comune non c’è e probabilmente non ci sarà neanche dopo il referendum. Ieri il dem Francesco Sanna ha spiegato a un’aula semivuota – c’era giusto un Gianni Cuperlo visibilmente in disaccordo – la posizione del partito di governo. E cioè che il Pd è pronto a discutere, come ripete ogni giorno il premier. Ma, ha chiesto Sanna, «è capace questo parlamento di produrre un sistema che sia alternativo o correttivo dell’Italicum ragionevolmente orientato a risolverne supposti problemi?». Tradotto: chi critica l’Italicum riesce a fare una controproposta?
Poi però Sanna spiega a parte che si rivolge «alle minoranze in parlamento, non a quelle del Pd». Va comunque detto che anche le minoranze Pd non hanno una linea unitaria. Ieri ne hanno discusso, stasera ci sarà la riunione di tutto il gruppo dei deputati dem per decidere se presentare un proprio testo, con la certezza di dividersi. Renzi da New York fa sapere che vedrebbe bene un segnale concreto di apertura sull’Italicum. Anche Cuperlo spinge per un’iniziativa unitaria. I bersaniani invece sono per lo più scettici o apertamente contrari. Alla mozione dei vendoliani voteranno no, al massimo si asterranno, ma non voglione regalare gratis al premier la «tregua» che sfiamma le contrapposizioni fra sì e no al referendum. Perché se il governo prendesse un impegno anche blando a cambiare l’Italicum, si indebolirebbero gli argomenti di chi nella minoranza ha deciso di votare no a causa del «combinato disposto» fra Italicum e riforma.
Non è un caso che ieri la ministra Boschi ha ripetuto il refrain: «Il voto sulla riforma non può dipendere unicamente dalla legge elettorale, che è una legge ordinaria e può essere modificata dal Parlamento». Ma l’ex segretario Bersani ha dato la linea ai suoi dalla festa dell’Unità di Padova: «Spero in un’iniziativa del governo per evitare che i senatori nuovi vengano fatti a tavolino, che con il 25 per cento uno pigli tutto e che i deputati vengano nominati non si sa da chi». Un’«iniziativa», non una generica mozione.