il manifesto 20.9.16
L’aiutino
Lo strappo della Consulta
di Massimo Villone
Tanto
tuonò che piovve. I rumors su un rinvio da parte della Corte
costituzionale, e su contrasti nel merito, erano diventati insistenti. È
ora ufficiale la notizia del rinvio dell’udienza del 4 ottobre, di cui
non si conoscono al momento le motivazioni. È uno strappo non
insignificante. Sarebbe fragile l’argomento di un’attesa per l’ultima
ordinanza di Perugia, perché la Corte ben avrebbe potuto decidere su
quanto è agli atti, e tornare poi sulla questione con sentenza o
ordinanza. Ugualmente fragile sarebbe una motivazione fondata
sull’attesa del referendum, dal momento che le questioni sollevate
davanti alla Corte hanno a oggetto una legge formalmente non toccata dal
voto. Nasce il sospetto che siano proprio i contrasti di merito che
suggeriscono alla Corte di prendere tempo. O forse la consapevolezza che
una riaffermazione anche parziale dei principi posti con la sentenza
1/2014 avrebbe di fatto inferto un colpo alla strategia referendaria del
governo.
Vedremo se il rinvio sarà breve, e se la nuova data
cadrà comunque prima del voto. In caso contrario, avremmo preferito, per
la salute delle istituzioni e per la stessa Corte, che il rinvio non vi
fosse. Il rinvio diventa un altro capitolo del romanzo referendario,
che si arricchisce sempre più anche di personaggi stranieri più o meno
autorevoli che offrono consigli e raccomandazioni agli italiani.
L’ultimo è Weidmann, presidente della Banca centrale tedesca, e falco
tra i falchi sui temi del bilancio e dell’austerity. Per lui, Draghi è
un pericoloso guastatore, e Renzi una zecca fastidiosa. Ma Italicum e
Jobs Act – e l’accostamento è di per sé suggestivo e preoccupante – sono
la soluzione giusta per il nostro paese.
A Berlino troviamo
conferma di un processo in atto da tempo. In Germania, come in Gran
Bretagna, in Francia o in Spagna, partiti storici che hanno
monopolizzato i consensi per decenni vedono progressivamente disgregarsi
la propria base elettorale. Il bipolarismo si frantuma. Questo non è
stato impedito da nessun sistema elettorale. I paesi citati hanno
sistemi molto diversi, dal maggioritario uninominale secco di collegio
britannico al proporzionale misto della Germania, passando per il doppio
turno francese e i microcollegi spagnoli. Per tutti la frantumazione
del sistema politico si è verificata irresistibilmente, e non è stata
impedita la nascita di partiti antagonisti o antisistema. Questo può
certo condurre a giudizi politici negativi. Ma comunque ci insegna che
nessun artificio elettorale o marchingegno istituzionale può impedire
alla politica di prendere il sopravvento. Il paese reale, con le sue
domande, i suoi bisogni, le sue pulsioni, le sue paure, alla fine viene
fuori. Ne viene che una deriva politica che non piace si combatte con la
politica, e non con gli algoritmi. È per questo che in nessuno dei
paesi citati ci si inventa una legge elettorale pensata per mettere le
brache al sistema politico. È quello che invece ha fatto Renzi, quando
per ovviare al tramonto del bipolarismo italiano ha messo in campo un
megapremio che dà ad una delle minoranze un surplus di seggi
parlamentari tale da farne una maggioranza truffaldina, blindata e
inattaccabile, e per di più al servizio del premier. Personalmente sono
da tempo convinto che una cura di proporzionale sarebbe essenziale per
restituire buona salute al sistema politico. È mai possibile che in
Italia non esista più un’assemblea elettiva – una sola, dai municipi al
parlamento – che esprima il paese com’è, senza artifici e distorsioni? E
dovremmo prendere atto che l’ubriacatura del decisionismo non ha dato
efficienza alla politica e alle istituzioni.
Maggiori è più
difficili sono i problemi, più ampia deve essere la partecipazione
democratica e la condivisione. La risposta non può mai trovarsi nel
modello istituzionale autoreferenziale e oligarchico imposto da Renzi, e
che i sostenitori pomposamente definiscono «democrazia decidente». È il
modello che piace a Weidmann. Ma non è un caso che ai classici del
costituzionalismo questa formula sia ignota, per l’ossimoro che
fatalmente viene dal decidere restringendo la partecipazione. Suggeriamo
a Weidmann di interrogarsi sul perché, a fronte del terremoto berlinese
che segue a quello del Meclemburgo-Pomerania, non si proceda in
Germania a copiare Renzi. E vogliamo aggiungere una parola per
l’ambasciatore Usa, per il suo endorsement al governo e alle riforme.
Forse l’ambasciatore non sa che negli Stati Uniti si è discusso per
decenni della riforma del sistema elettorale presidenziale, che molti
pensano sia un’elezione diretta ma che tale non è, posto che l’elezione
in senso proprio ha luogo in un Collegio Elettorale che è un’invenzione
di stampo settecentesco. Pensate alla felicità della Boschi se potesse
dire che da oltre duecento anni si era in attesa di una riforma.
Potremmo prestarla al paese amico, come si fa con le opere d’arte.
Magari anche senza assicurazione.