il manifesto 18.9.16
E adesso, pover’uomo?
di Alfonso Gianni
L’idillio
di Ventotene, con annessa cena sulla nave Garibaldi, sembra già
svanito. E fra Renzi, la Merkel e Hollande volano gli stracci. Al
vertice di Bratislava Renzi è stato messo da parte dagli alleati più
potenti e la cosa non gli è andata giù al punto da disertare la prevista
conferenza stampa.
Naturalmente la sceneggiata ha anche un
possibile risvolto. Per un certo verso a Renzi non conviene apparire,
specialmente in vista del referendum costituzionale, come il cagnolino
fidato della Merkel. Soprattutto ora quando le fortune di quest’ultima
in Germania cominciano a vacillare.
Ma sarebbe errato
sottovalutare la portata dello scontro in atto, anche se si cercherà in
qualche modo di ricomporlo nel tempo più breve possibile. Intanto perché
esso è l’ennesima dimostrazione delle tensioni che scuotono l’Europa e
che ne minacciano l’implosione. Poi perché sottolinea la distanza tra le
professioni di grandezza declamate dal leader italiano e la realtà
della non eccelsa considerazione che gode nel contesto europeo. E non
solo. Infine per il merito della questione.
Renzi ha insistito
nelle sue concitate dichiarazioni soprattutto su due elementi che sono
appunto i punti di oggettiva tensione e frizione tra i paesi europei.
Quello dell’immigrazione e quello della pervicacia tedesca nell’imporre
politiche di austerity. Su entrambi i punti in realtà il nostro paese
non ha le carte per fare la voce grossa. Non si può certo dire che
l’Italia sia un modello di accoglienza. Anzi. Renzi rilancia il suo
improbabile piano di accordi con i paesi africani. Ma di concreto
abbiamo solo il piano “Ippocrate” con cui il governo invia truppe di
terra in Libia, la cui finalità “sanitaria” nasconde non più di tanto
l’intenzione di future spartizioni delle risorse petrolifere di quel
paese. Sull’altro fronte, quello dell’austerity, la politica economica
del nostro governo e soprattutto i suoi effetti devastanti in termini di
recessione e di disoccupazione sono sotto gli occhi di tutti.
Da
che pulpito la predica, quindi. Ma a Renzi preme un di più di
flessibilità che gli restituisca margini per una legge di stabilità che
gli consenta qualche concessione in vista del voto referendario. Vedersi
sbattere la porta in faccia su questa questione può essere letale.
D’altro canto anche gli altri leader europei sono sotto elezioni. I
margini sono strettissimi, quando ci sono, per tutti. E qui emergono con
più brutalità i veri rapporti di forza. E’ quasi patetico sentire Renzi
scagliarsi contro il surplus commerciale della Germania che viola gli
stessi parametri di Maastricht, dopo che per anni questo tema era stato
agitato dalle forze e dagli economisti non mainstream, senza che nessuno
muovesse un dito. Oppure ascoltarlo mentre afferma che il «fiscal
compact non ha futuro», cose stradette dalle forze della sinistra di
alternativa, mentre il Pd votava compatto in Parlamento l’introduzione
del pareggio di bilancio in Costituzione.
Ma Renzi non si è certo
convertito ad una politica economica alternativa. E’ andato al vertice
Euro Med giustamente voluto da Tsipras – il cui senso politico riceve
una ulteriore conferma dalle vicende di Bratislava – con la volpe sotto
il braccio. Solo che nel momento del bisogno e della cruda delusione per
il trattamento subito non sa trovare argomenti migliori che non pescare
tra quelli sollevati dai suoi oppositori e da chi pratica una linea del
tutto diversa dalla sua. Ma li agita solo in modo strumentale, il che
ci consola poco rispetto al presente di un’Europa sempre più vittima
delle sue pessime politiche.