il manifesto 18.9.16
Trump ne spara un’altra su Hillary. E fa rotta contro Cuba
Verso la Casa bianca. Comizio a Miami: «Clinton è contro le armi, disarmiamo la sua scorta e vediamo come finisce»
di Marina Catucci
NEW
YORK Durante l’ultima settimana la campagna elettorale di Trump è
risalita, e il suo gradimento ha raggiunto quello di Clinton, che, tra
polmonite e teorie complottiste è obbligata a una stasi.
Le
peggiori performance Trump le ha sempre fatte nei momenti in cui si è
sentito invulnerabile, e anche questa volta non si è smentito. Venerdì
sera, durante un comizio a Miami, dove vive una grande comunità cubana,
ha dichiarato che «l’accordo unilaterale del presidente Obama per Cuba e
con Cuba avvantaggia solo il regime di Castro». Dopo aver sottolineato
che tutte le concessioni di Obama sono state fatte tramite ordine
esecutivo, Trump ha continuato dicendo che «il prossimo presidente le
può invertire a meno che il governo di Castro non consenta la libertà di
religione e non liberi i prigionieri politici». Ventilando che, se
eletto, manderebbe a monte il lavoro di normalizzazione fatto dagli
Stati Uniti riguardo le relazioni con Cuba, dopo più di 50 anni di
ostilità.
Ma non è stata la sola dichiarazione spinosa; nello
stesso comizio il candidato GOP ha sollevato ancora una volta lo spettro
della violenza contro la rivale democratica, scherzando sulla necessità
di disarmarne la scorta. «Penso che le guardie del corpo di Hillary
Clinton debbano abbandonare tutte le armi – ha detto Trump – lei non
vuole armi, quindi portate via le armi alla sua scorta e poi vediamo
cosa le succede». Riguardo le armi le posizioni di Trump e Clinton sono
antitetiche: Trump è sostenuto dalla NRA (la potente lobby delle armi,
la National Rifle Association) ed è un accanito sostenitore del diritto
ad essere armato con qualsiasi tipo di arma sempre e comunque, mentre
Clinton da più di vent’anni porta avanti una battaglia restrittiva sul
secondo emendamento. Trump aveva già usato il tema del diritto alle armi
alludendo alla possibilità di usarle contro la rivale.
In questo
momento di debolezza elettorale il partito si è stretto attorno a
Hillary e l’aiuto più incisivo è arrivato dall’attuale first lady che
dalla Virginia ha sostenuto la candidata democratica tenendo un discorso
praticamente perfetto nei toni e nei contenuti. «La presidenza non
cambia chi sei, ma lo rivela – ha detto durante il comizio Michelle
Obama -. La stessa cosa vale per una campagna presidenziale; se un
candidato è strambo e minaccioso, se strumentalizza pregiudizi e paure,
se mente lungo il percorso elettorale, se un candidato non ha piani
chiari per realizzare i propri obiettivi, se manca di rispetto verso i
concittadini, inclusi quelli che fanno straordinari sacrifici per il
Paese, beh lasciate che vi dica, che questo è quello che è. Questo è il
tipo di presidente che sarà».
La favola del candidato outsider che
si trasforma in presidenziale e affidabile va definitivamente
seppellita. Trump è questo; non ha risposte ma slogan, il modo in cui
rifarà grande l’America è oscuro, come sconfiggerà l’Isis è un piano
segreto e potenzialmente la fastidiosa questione delle elezioni la
risolverebbe a pistolettate, o quanto meno, questo lascia trapelare.