il manifesto 17.9.16
Il sentimento dell’era putiniana
di Rita di Leo
Domani
la Russia vota per la Duma, è prevista un’affluenza di meno del 50%
degli elettori, scontata è la vittoria di «Russia Unita», il partito al
potere, e la rielezione di una pattuglia di deputati comunisti e di
deputati iper-nazionalisti mentre i partiti liberal democratici non
dovrebbero superare lo sbarramento del 5%. È in vigore una nuova legge
elettorale per cui metà degli eleggibili è indicata dai partiti con voto
proporzionale e metà in collegi uninominali territoriali. C’è poi una
nuova commissione elettorale, presieduta da un «indipendente» che
dovrebbe vigilare per impedire i brogli del passato.
Al di là
dell’appuntamento elettorale i russi vicono tempi amari. E non tanto per
la situazione economica, il peso delle sanzioni, il calo del prezzo del
petrolio, la rottura dei contratti europei riguardanti i gasdotti. Quel
quasi 50% che si recherà alle urne, è in gran misura la quota di
popolazione che riesce economicamente a cavarsela, ma è anche la stessa
che si sente politicamente sotto assedio. È preoccupata per la tenuta di
Putin, teme che non riesca a fronteggiare i suoi nemici e non quelli
interni, i dissidenti alla Kasparov, l’ex campione di scacchi cui il New
York Times concede tutto lo spazio che vuole per convincere i lettori
americani delle sue capacità politiche. È proprio l’antirusso New York
Times lo specchio delle preoccupazioni della classe medio-alta russa. La
quale vorrebbe identificarsi con quella europea e americana e mal
subisce le conseguenze della generale avversione per il governo del suo
paese.
Alla luce degli ultimi cambiamenti geopolitici inspiegabile
appare ai russi l’ostracismo internazionale. Poiché da un lato vi è la
Russia che si riprende «la sua Crimea» ma dall’altro vi sono la Turchia,
l’Egitto, l’Arabia Saudita, la Polonia, l’Ungheria e persino l’Austria
con il suo nuovo muro. E i ghetti della crisi sociale Usa. Alcuni leader
politici possono permettersi comportamenti autoritari e repressivi
senza meritarsi altro che blandi rimproveri mentre Putin è messo al
bando come fosse uno zar del passato pre-sovietico e allo stesso tempo
l’ex spia dell’ex Kgb. E i russi che lo appoggiano all’80% sarebbero o
troppo subalterni o troppo corrotti.
La realtà è che i russi
benestanti, post sovietici non vedono Putin come uno zar ma come l’ex
figlio di un operaio modello di Leningrado, che invece di diventare
ingegnere, ha scelto la «carriera» nei servizi segreti, è stato 7 anni a
Dresda/Europa, e poi ha sfruttato l’epoca Yeltsin rivelando un istinto
da «politico professionale». L’istinto che oggi lo ha convinto a mettere
nelle retrovie i suoi antichi colleghi dei servizi, che così tanto gli
osservatori esteri gli rimproverano, e a promuovere politici nuovi,
giovani senza altri legami, che non la riconoscenza per chi li ha
promossi. Epperò il suo atto politico più riuscito è la saldatura con la
chiesa ortodossa, promossa sua alleata e fornita di una organizzazione,
interna e persino estera, che la rende simile a un partito. Altro che
«Russia unita». E di recente ha creato un corpo di Guardia nazionale a
difesa del terrorismo (e del dissenso interno).
Basteranno queste
iniziative a farlo arrivare alle elezioni del 2018? I russi se lo
chiedono e soprattutto lo sperano. Non solo quelli che leggono la stampa
internazionale e aspirano alla legittimazione internazionale ma anche
gli altri, quelli che sono informati solo dalla tv di stato e sono pieni
di risentimento nei confronti dell’America, dell’Europa e soprattutto
dei paesi est europei. Ricambiati alla millesima potenza da polacchi,
ungheresi e così via.
Il noto storico Stephen Coen su The Nation è
stato il primo a lamentarsi del ritorno della guerra fredda, che si
reggerebbe non più sulla contrapposizione socialismo-capitalismo, bensì
sulla competizione strategico-militare. Come se Reagan fosse tornato
sulla scena alle prese con un Putin che aspira alla parità almeno negli
armamenti. Una vera provocazione per il Pentagono e per la Nato. Altro
che la minaccia di chiusura dell’Istituto di sondaggi Levada che si è
permesso di registrare un calo di consensi per il partito al potere.
L’ostracismo per la Russia di Putin ha la sua base nelle basi militari,
da quelle in Crimea alle molte altre. Poiché paradossalmente dal crollo
del socialismo in piedi è rimasta la potenza strategico-militare dell’ex
Urss. Una realtà difficile da accettare per l’altra potenza.