il manifesto 15.9.16
Chomsky: «Vergognosa l’Europa su Siria e Turchia»
«Clinton è democratica, in altri tempi si sarebbe chiamata una repubblicana moderna»
«Sono proprio i paesi occidentali che hanno creato le condizioni per questa guerra»
Noam
Chomsky ospite del convegno «Dice2016» organizzato dall’Università di
Pisa: «Gli immigrati migliorano l’economia: è inquietante che in paesi
dove il tasso di migranti è alto, il razzismo invece di diminuire,
aumenti»
intervista di Virginia Tonfoni
Noam
Chomsky è in questi giorni in Italia ospite del convegno «DICE2016»
organizzato dall’Università di Pisa e il Comune di Rosignano
«Spacetime-Matter-Quantum Mechanics». Lo abbiamo incontrato in un
incontro riservato alla stampa e abbiamo avuto occasione di parlare
dello stato politico ed economico mondiale.
20est3 chomsky2
Professor Chomsky, qual è la condizione della democrazia statunitense alle porte delle presidenziali?
Parlare
dei candidati in termini di popolarità non ha senso, visto la loro
impopolarità…ma questo non deve portarci fuori strada, poiché
l’insoddisfazione verso le istituzioni negli Stati uniti è estesa. Se
chiedete le impressioni sul Congresso, la maggioranza delle persone vi
dirà che sono tutti da mandare a casa: tutti odiano banche,
multinazionali, governo etc.
«L’insoddisfazione verso le
istituzioni negli Usa è estesa. L’unica istituzione che sembra essere
sempre rispettata è quella militare»
Noam Chomsky
L’unica
istituzione che sembra essere sempre rispettata è quella militare. Le
ricerche scientifico politiche, non finanziate perché scomode,
dimostrano che il 70% della popolazione, che ha il reddito più basso,
non trova riscontro effettivo tra le sue attitudini e le posizioni dei
suoi rappresentanti politici; come ci spostiamo un po’ più su nello
spettro di reddito si ha progressivamente più attinenza, fino ad
arrivare a quella frazione dell’1% che non ha bisogno di leggere le
scienze politiche perché è perfettamente rappresentata.
Questo
genera effetti tremendi, che in Europa conoscete bene, come il crollo
dei governi e un violento declino della democrazia che si traducono in
disillusione e rabbia e che si mostrano in modi anche piuttosto
spaventosi in certi casi: penso al partito neo nazi canadese, alle
elezioni in Austria…un po’ la stessa cosa accade anche negli Stati Uniti
in misura minore.
Queste elezioni correnti sono sorprendenti:
Hillary Clinton è una figura politica mainstrem, è una democratica, ma
in altri tempi si sarebbe chiamata una repubblicana moderna: entrambi i
partiti si sono spostati molto a destra nel periodo delle politiche
neoliberali, divenendo poco riconoscibili.
A proposito del cambio
climatico, ogni singolo candidato alle primarie ne nega l’esistenza e
perciò non se ne parla più. Donald Trump, invece pensa che dobbiamo
incrementare l’uso dei combustibili fossili, specialmente di carbone,
eliminare le restrizioni, smantellare la COP21, e rifiutare ogni
assistenza ai paesi poveri che tentano di investire nelle energie
sostenibili. La sua campagna sta inoltre facendo emergere situazioni
analoghe a quelle del nord Europa con episodi di xenofobia, rabbia,
paura: la popolazione bianca, che ha una forte tradizione di supremazia
bianca, è attraversata però da un inquietante e nuovo fenomeno
demografico: c’è un aumento del tasso di mortalità tra i maschi bianchi
della classe lavoratrice (35-55 anni) e questo non era mai accaduto in
un paese sviluppato e non in guerra… Non è così semplice risalire da
questa situazione.
C’è relazione tra il crollo dei grandi modelli
culturali, come quello raccontato nel suo documentario «Requiem for the
American Dream» e la crescente xenofobia?
Sì, anche in Europa. Un
paio di giorni fa la Merkel ha subito un duro colpo nelle regionali da
un partito di ultra destra; la Danimarca è un paese con una percentuale
credo pari all’1% di popolazione migrante e sta letteralmente
collassando poiché l’idea che qualsiasi cosa possa interferire con la
loro purezza è inaccettabile. Quando mi riferisco al crollo del sogno
americano alludo a problemi sociali ed economici molto rilevanti per la
classe operaia, i cui salari sono uguali a quelli di 40 anni fa;
nonostante la crescita del PIL, negli ultimi 15 anni il 95% della
ricchezza prodotta è andata nelle tasche di appena l’1% della
popolazione.
Gli Stati Uniti sono il paese più ricco del mondo, ma
se consideriamo il Pil rispetto alle misure di giustizia sociale, nelle
statistiche dell’Ocse, il loro posto è molto in basso, alla stregua di
paesi come la Grecia e la Turchia. Non ci sono ammortizzatori sociali, i
salari sono bloccati e i lavori diventano temporanei invece che
permanenti. Si perdono lavori nell’industria manifatturiera in parte per
i progressi tecnologici e in parte perché le multinazionali scelgono di
produrre all’estero dove i salari sono più bassi.
Ma gli
immigrati non c’entrano, anzi migliorano lo stato dell’economia:
lavorano, pagano le tasse, in qualche caso investono. Per questo è
inquietante che in paesi europei come la Germania, dove il tasso di
migranti è alto, il razzismo invece di diminuire, aumenti.
Quali sono i rischi per la ricerca scientifica nel mondo contemporaneo?
La
scienza negli stati totalitari corre dei rischi molto seri , ma anche
in altri ambiti ci possono essere forti limitazioni, a volte molto
difficili da superare. Negli Stati uniti, per esempio, ci sono barriere
per quanto riguarda la ricerca sulla cellule staminali, soprattutto
barriere culturali e sociali. In campi più affini alla ricerca
scientifica il contenzioso politico è molto più evidente, ad esempio nel
dibattito sul cambio climatico, che riguarda tutti: il partito
repubblicano si limita a negare la sua esistenza.
Lamar Smith, un
rappresentante repubblicano, cristiano evangelico, assilla gli
scienziati richiedendo loro di fornire i tabulati delle loro mail tra
colleghi, in cerca di una traccia di cospirazione, che tagliando il
consumo di combustibili fossili, distruggerebbe l’economia. Anche nelle
scienze politiche, come in quelle politico-sociali, le ripercussioni
possono essere molto importanti; le ricerche sulle relazioni tra
opinione pubblica e politiche pubbliche, come dicevo, non sono quasi mai
finanziate, visto che portano spesso alla scomoda conclusione che
l’opinione pubblica è poca cosa in politica.
Il 24 settembre si
terrà a Roma una grande manifestazione di solidarietà contro l’attacco
di Erdogan al popolo curdo; qual è la sua opinione al riguardo?
Il
conflitto risale agli anni ’90: migliaia di persone uccise, centinaia
di villaggi distrutti, centinaia di migliaia di persone fuggirono e
tutte queste operazioni sono state appoggiate dagli Stati Uniti e paesi
Nato. Tra le orribili atrocità ci furono anche processi sommari, come
quello al mio editore del tempo, per un mio libro in cui erano contenute
5 pagine sulle repressioni in Turchia.
Dopo un momento di
maggiore tolleranza – uno dei miei ultimi viaggi è stato per un
intervento in memoria del coraggioso editore Hrant Dink che voleva far
luce sul massacro degli armeni e che fu ucciso – nell’ultimo anno la
repressione si è accentuata: ci sono stati attacchi contro la
popolazione curda, centinaia di intellettuali sono stati minacciati,
licenziati, imprigionati; gli attacchi in Siria, teoricamente contro
l’Isis, si sono dimostrati rivolti ai curdo siriani per impedire loro il
controllo del confine con la Turchia.
È un conflitto molto aspro
che non accenna a migliorare ed è vergognosa la poca attenzione
dell’Europa, dovuta probabilmente alle negoziazioni ciniche che sta
portando avanti per tenere lontani i profughi siriani. Gli Usa hanno
accolto 10.000 profughi, un numero esiguo che rivela la profonda crisi
morale di tutti i paesi occidentali: gli stessi, Italia inclusa, che
hanno creato le condizioni per questo conflitto, che hanno fornito armi e
copertura diplomatica.
In termini di responsabilità, è una crisi umanitaria davvero molto pesante per i paesi Nato.