Aumento «sofferto» degli aiuti militari Usa a Israele
Siglato a Washington il nuovo accordo decennale che prevede uno stanziamento di 38 miliardi di dollari dai 30 precedenti
di Ugo Tramballi
Pochi
giorni fa l’ultima di Bibi Netanyahu era stata l’accusa agli Stati
Uniti (e agli europei) contrari all’allargamento degli insediamenti nei
Territori occupati, di “pulizia etnica” nei confronti degli ebrei in
Cisgiordania. Una specie di racconto al contrario della realtà del
conflitto. Nonostante questo, Israele riceverà dagli americani aiuti
militari per 38 miliardi di dollari fino al 2028. Più di quanto non
avessero mai ottenuto.
Le firme al memorandum d’intesa sono state
poste ieri sera a Washington. Fino al 2018 resterà in vigore l’attuale
accordo da 3 miliardi di dollari l’anno. A partire dal 2019, per dieci
anni gli israeliani riceveranno 3,8 miliardi. Oltre ai circa due
miliardi l’anno in garanzie sul credito per investimenti civili. È
«l’impegno più grande nella storia dell’assistenza militare bilaterale
americana», precisa il dipartimento di Stato. In questo caso un impegno
reale: secondo un documento del Congressional Research Service di
Washington, di solito gli americani concedono a Israele il loro aiuto
nei primi trenta giorni di ogni anno fiscale.
Un avvenimento di
questo peso politico avrebbe meritato la presenza del presidente degli
Stati Uniti e del premier israeliano. L’accordo invece è stato firmato
nella Treaty room del dipartimento di Stato e non alla Casa Bianca, da
Tom Shanon, il sottosegretario agli esteri per gli affari politici, e da
Jacob Nagel, il capo del Consiglio per la sicurezza nazionale
israeliano. Basso profilo, dunque: un altro segno della totale sfiducia,
quasi del disprezzo reciproco fra Barack Obama e Bibi Netanyahu. Nelle
intenzioni americane, infatti, l’aiuto militare non viene dato al
governo di estrema destra ma allo stato e al popolo d’Israele. È parte
dell’indissolubile alleanza cementata soprattutto a partire dalla
presidenza Nixon e dalla guerra del Kippur del 1973, chiunque governi in
Israele
La trattativa era durata circa un anno e, diversamente
dal passato, era stata difficile e litigiosa. Cercando di monetizzare
l’accordo sul nucleare iraniano promosso dagli Stati Uniti e
ossessivamente osteggiato da lui, Netanyahu chiedeva un aiuto militare
da 4,5 miliardi l’anno. Ne ha ottenuti “solo” 3,8 con una serie di nuove
limitazioni. Israele non potrà più spendere come in passato il 26%
dell’aiuto per acquistare armamenti della sua industria ma dovrà
comprarli esclusivamente dall’arsenale americano, al quale ha accesso
come nessun altro alleato al mondo. Inoltre il governo s’impegna per
tutta la durata dell’accordo a non rivolgersi direttamente al Congresso –
tradizionalmente più filo-israeliano di ogni presidenza democratica o
repubblicana – per ottenere aiuti supplementari. Solo in caso di guerra
gli Stati Uniti decideranno se incrementare l’aiuto da 3,8 miliardi.
L’amministrazione
Obama ha sempre tenuto separato il dialogo – più esattamente lo scontro
– con il governo Netanyahu, dalla collaborazione a lungo termine con lo
stato ebraico. Si è limitata a definire “impropria” l’accusa di pulizia
etnica americana nei Territori, condivisa invece con entusiasmo da
Donald Trump. Ha finto d’ignorare le evidenti simpatie di Netanyahu per
il candidato repubblicano. Né dà importanza alla demonizzazione senza
pause dell’accordo sul nucleare iraniano dell’anno scorso. Anche quando
il nuovo e pericoloso ministro della Difesa Avigdor Lieberman ha
paragonato quel trattato a una nuova Monaco contro Israele: intendendo
l’accordo del 1938, quando la Gran Bretagna svendette la Cecoslovacchia a
Hitler in cambio di una pace illusoria.
Non la pensa così Gadi
Eizenkot, il capo di stato maggiore delle forze armate e quasi tutto il
vertice militare e della sicurezza d’Israele: loro sono convinti che nel
peggiore dei casi l’accordo con l’Iran allontani per almeno un decennio
la minaccia nucleare. Eizenkot aveva anche esortato a porre fine al
pericoloso traccheggiare del suo governo nella trattativa sull’aiuto
americano e a firmare al più presto. Barack Obama e Bibi Netanyahu forse
si vedranno per l’ultima volta all’assemblea generale Onu di fine mese.
Ma non avranno più niente da dirsi: Netanyahu è ansioso di conoscere il
nuovo presidente, sperando senza farne troppo mistero che sia Donald
Trump.