giovedì 15 settembre 2016

Aumento «sofferto» degli aiuti militari Usa a Israele
Siglato a Washington il nuovo accordo decennale che prevede uno stanziamento di 38 miliardi di dollari dai 30 precedenti
di Ugo Tramballi

Pochi giorni fa l’ultima di Bibi Netanyahu era stata l’accusa agli Stati Uniti (e agli europei) contrari all’allargamento degli insediamenti nei Territori occupati, di “pulizia etnica” nei confronti degli ebrei in Cisgiordania. Una specie di racconto al contrario della realtà del conflitto. Nonostante questo, Israele riceverà dagli americani aiuti militari per 38 miliardi di dollari fino al 2028. Più di quanto non avessero mai ottenuto.
Le firme al memorandum d’intesa sono state poste ieri sera a Washington. Fino al 2018 resterà in vigore l’attuale accordo da 3 miliardi di dollari l’anno. A partire dal 2019, per dieci anni gli israeliani riceveranno 3,8 miliardi. Oltre ai circa due miliardi l’anno in garanzie sul credito per investimenti civili. È «l’impegno più grande nella storia dell’assistenza militare bilaterale americana», precisa il dipartimento di Stato. In questo caso un impegno reale: secondo un documento del Congressional Research Service di Washington, di solito gli americani concedono a Israele il loro aiuto nei primi trenta giorni di ogni anno fiscale.
Un avvenimento di questo peso politico avrebbe meritato la presenza del presidente degli Stati Uniti e del premier israeliano. L’accordo invece è stato firmato nella Treaty room del dipartimento di Stato e non alla Casa Bianca, da Tom Shanon, il sottosegretario agli esteri per gli affari politici, e da Jacob Nagel, il capo del Consiglio per la sicurezza nazionale israeliano. Basso profilo, dunque: un altro segno della totale sfiducia, quasi del disprezzo reciproco fra Barack Obama e Bibi Netanyahu. Nelle intenzioni americane, infatti, l’aiuto militare non viene dato al governo di estrema destra ma allo stato e al popolo d’Israele. È parte dell’indissolubile alleanza cementata soprattutto a partire dalla presidenza Nixon e dalla guerra del Kippur del 1973, chiunque governi in Israele
La trattativa era durata circa un anno e, diversamente dal passato, era stata difficile e litigiosa. Cercando di monetizzare l’accordo sul nucleare iraniano promosso dagli Stati Uniti e ossessivamente osteggiato da lui, Netanyahu chiedeva un aiuto militare da 4,5 miliardi l’anno. Ne ha ottenuti “solo” 3,8 con una serie di nuove limitazioni. Israele non potrà più spendere come in passato il 26% dell’aiuto per acquistare armamenti della sua industria ma dovrà comprarli esclusivamente dall’arsenale americano, al quale ha accesso come nessun altro alleato al mondo. Inoltre il governo s’impegna per tutta la durata dell’accordo a non rivolgersi direttamente al Congresso – tradizionalmente più filo-israeliano di ogni presidenza democratica o repubblicana – per ottenere aiuti supplementari. Solo in caso di guerra gli Stati Uniti decideranno se incrementare l’aiuto da 3,8 miliardi.
L’amministrazione Obama ha sempre tenuto separato il dialogo – più esattamente lo scontro – con il governo Netanyahu, dalla collaborazione a lungo termine con lo stato ebraico. Si è limitata a definire “impropria” l’accusa di pulizia etnica americana nei Territori, condivisa invece con entusiasmo da Donald Trump. Ha finto d’ignorare le evidenti simpatie di Netanyahu per il candidato repubblicano. Né dà importanza alla demonizzazione senza pause dell’accordo sul nucleare iraniano dell’anno scorso. Anche quando il nuovo e pericoloso ministro della Difesa Avigdor Lieberman ha paragonato quel trattato a una nuova Monaco contro Israele: intendendo l’accordo del 1938, quando la Gran Bretagna svendette la Cecoslovacchia a Hitler in cambio di una pace illusoria.
Non la pensa così Gadi Eizenkot, il capo di stato maggiore delle forze armate e quasi tutto il vertice militare e della sicurezza d’Israele: loro sono convinti che nel peggiore dei casi l’accordo con l’Iran allontani per almeno un decennio la minaccia nucleare. Eizenkot aveva anche esortato a porre fine al pericoloso traccheggiare del suo governo nella trattativa sull’aiuto americano e a firmare al più presto. Barack Obama e Bibi Netanyahu forse si vedranno per l’ultima volta all’assemblea generale Onu di fine mese. Ma non avranno più niente da dirsi: Netanyahu è ansioso di conoscere il nuovo presidente, sperando senza farne troppo mistero che sia Donald Trump.