il manifesto 14.9.16
Non basta un ritocco, serve un No
Non è una questione di toni ma di scelte. Come la pretesa di sapere chi governa la sera del voto
di Massimo Villone
Una
grande melassa: questo rischia di diventare il dibattito sul referendum
e sulle riforme. Si paventa la guerra, si sollecitano coesione e
confronti pacati. Le aperture di Renzi sembrano accogliere suggerimenti
autorevoli, ma rimangono vuote di contenuti e iniziative concrete.
Alla
fine, è l’autoreferenziale arroganza di un premier troppo amante dei
selfie che spacca il paese su quello che mai dovrebbe dividere, e cioè
la Costituzione. Mentre il referendum non è una partita di ceto
politico, né si esaurisce nel bon ton istituzionale. Siamo di fronte a
linee alternative che in ultimo toccano la vita quotidiana, i diritti e
le libertà di tutti. Da un lato potere di comando concentrato nelle mani
dell’esecutivo, dall’altro piena rappresentanza politica, diritto di
voto davvero libero e uguale, partecipazione e istituti di democrazia
diretta forti ed efficienti.
Non è una questione di toni e
linguaggi, ma di scelte. Lo stravolgimento istituzionale viene dal
mantra per cui la sera del voto si deve sapere chi vince e chi governa. E
che fatalmente porta – in un sistema non più bipolare ma multipolare – a
confezionare vittorie taroccate. È qui che una minoranza nei voti
diventa artificialmente una grande e truffaldina maggioranza nei seggi. È
qui che si colpisce il sistema di checks and balances. È qui che si
stravolge la rappresentanza del paese che c’è nella rappresentazione
parlamentare di un paese fittizio, che non esiste.
Rappresentanza o
rappresentazione? È una scelta non eludibile con un minuetto in cui tu
apri a coalizioni e apparentamenti, e io ti lascio in cambio il premio
di maggioranza, tu mi dai il capolista votato con la preferenza, e io
accetto il ballottaggio.
Il caso spagnolo – un tempo esempio
cogente per gli stessi aspiranti riformatori di oggi – insegna che
nessun sistema elettorale dà certezze di vittoria. La Francia ci dice
che il doppio turno può portare qualcuno nelle stanze di governo, ma non
contrasta la crescita di soggetti politici antagonisti o anti-sistema,
né può evitare la lenta morte politica del vincitore, tanto da avere
un’anatra zoppa già a metà mandato.
Personalmente sono da molti
anni convinto che una buona legge elettorale per il nostro paese, tale
da contemperare esigenze di governabilità, qualità degli eletti e
rappresentanza politica, sarebbe data dal modello tedesco. Ma bisogna
comunque sapere che le più sofisticate architetture istituzionali non
mettono le brache alla politica.
Parole chiare, dunque. Anche
perché il cambiamento più o meno radicale dell’Italicum lascia intatta
la necessità di votare No nel referendum.
È la Renzi-Boschi che
colpisce la capacità rappresentativa dell’istituzione parlamento, con la
cancellazione non già del Senato, ma del diritto degli italiani di
votare e scegliere i senatori. È la Renzi-Boschi che frantuma il
procedimento legislativo in una pluralità di modelli, che possono solo
portare a ritardi e conflitti. È la Renzi-Boschi che mette nelle mani
dell’esecutivo l’agenda parlamentare attraverso il voto a data certa. È
la Renzi-Boschi che inganna sulla partecipazione, rafforzando solo in
apparenza gli istituti di democrazia diretta. È la Renzi-Boschi che
ripristina il centralismo statalista ben oltre le opportune correzioni
del titolo V malamente riformato nel 2001.
Ed è infine la
Renzi-Boschi che chiude la strada a soluzioni più equilibrate, che bene
si potevano cercare, bastava leggere gli atti parlamentari o ascoltare
le audizioni. Non si è fatto, ed è la prova del dolo. Un Italicum
approvato molto prima della Renzi-Boschi, ma già scontando il carattere
non elettivo del senato, dimostra poi che il dolo comprende in un
disegno unico legge elettorale e revisione costituzionale.
È certo
questo disegno doloso che rende la Renzi-Boschi un pericolo per la
democrazia. Ma se anche l’Italicum fosse mondato dei suoi veleni la
Renzi-Boschi rimarrebbe una pessima e pericolosa riforma. Qualunque cosa
ci dicano, da ultimo, l’ambasciatore Usa e l’agenzia Fitch. La
smettano, a palazzo Chigi, di mendicare appoggi dai potenti. È una
figura da mentecatti. E sarà anche peggio quando vincerà il No.